lunedì 20 dicembre 2010


QUALCHE PASSO INDIETRO...






Per chi, come me, non ha vissuto l'adolescenza immerso nel boom del telefonino o peggio, dello smartphone e dei social network, per chi, come me, non ha vissuto l'assalto al calcio da parte delle pay-tv che hanno fagocitato qualsiasi intimità calcistica rendendo l' "homo footballorum" succube di 5.000 partite in diretta alla settimana con le telecamere che entrano persino nei cessi degli spogliatoi per stabilire se le misure morfologiche di Eto'o sono rispondenti alla millenaria fama degli africani, assistere anno dopo anno al consumarsi di tale brutale violenza contro la Coppa che dovrebbe rappresentare l'apogeo del football continentale non fa che inaridire, anno dopo anno, le mie risorse vitali.
La coppa scoppia! Sorteggio dopo sorteggio è sempre peggio. Stritolati dal business, dalla bulimia finanziaria dei contratti pubblicitari, dalla massa magmatico-emotiva del grande teatro mondiale che da Honk Kong alle Hawaii sfodera sciarpe del Manchester United e gagliardetti del Real Madrid come si indossano T-shirt col volto di Lady Gaga e si balla la Haka, la cara, vecchia, sacra Coppa dei Campioni ha oramai smarrito completamente ed irrimediabilmente le proprie origini modificando alla radice il proprio DNA.
Ad ogni consesso estrattivo par già di sapere tutto, come quegli studenti che rispondono alle domande di getto, a memoria, senza riflessione od analisi perché sanno in partenza dove il professore andrà a pescare. Come giocare a nascondino sulla Piazza Rossa, la fantasia ed il fascino si fanno da parte perché arriva il bulldozer della programmazione, programmato dai circoli esclusivi, che in quanto elitari vivono in un mondo tutto loro, ovattato di edonismo surreale e fondati in spregio a basilari pulsioni sportive.
Lione-Real Madrid assume sempre più i contorni di un polpettone sulla scena europea, ultraproiettato con maniacale meccanicità in un turpe gioco al massacro delle emozioni di una coppa che fu mia quando il vento favoriva le novità e l'uguaglianza e l'esclusività del sorteggio era lo spartiacque per vivere il personale momento di gloria. Liberté, égalité, fraternité: quella coppa forgiata da francesi si mesceva nel motto fondendosi in un modello antesignano dello spirito europeista.
Ora si arriva agli ottavi blindati, la Uefa indossa il preservativo dell'arroganza affinché si giunga compatti, coperti ed allineati a destinazione, poi a briglie sciolte, chi è più bravo, capace o fortunato nella caccia al tesoro lo troverà come nelle organizzazioni tutto punto dei club vacanze nei resort dei posti più esotici per i ricchi più ricchi che ricchi non si può.
Lione-Real Madrid non si sa più come classificarla. E' campionato francese, spagnolo, o meglio un'ibrida coppa interpirenaica. Quattro volte, dico quattro volte in sei, dico sei, anni: 2006,2007,2010,2011! Il mio cuore non si connette più alla manifestazione, ci vuole fegato per tutto ciò, perciò passo la mano ai temerari delle statistiche di quest' orripilante messinscena di calcio moderno, a quelli che non sanno cosa sia un Honved-Steaua ovvero Servette-Aberdeen agli ottavi della Coppa dei Campioni. In questi anni siamo campioni di cosa? Campioni di incassi, di share, di visibilità, di merchandising, di truffe, di bilanci guasti, di squadre pericolosamente globalizzate, di telecamere 3D ai raggi ultraperfetti che ti permettono di vedere le gare anche da sotto il campo di calcio, da Marte da dentro le mutande di Cristiano Ronaldo. Meglio ancora se il campo di calcio diventa il prima possibile sintetico, privo di ogni gibbosità che possa insinuarsi nella mente di chi gioca, di chi guarda, di chi investe, di chi acquista, di chi si uniforma, di chi "gadgetteggia" e che possa ostacolare il sinistro e famelico progetto oligarchico . Sintetico come il carrozzone che si trascina dietro questo cinepanettone chiamato Champions League, nel quale tutti i tifosi ritroveranno il loro bel Barcellona Arsenal per rifarsi o riperdere, perché il succoso Inter-Bayern per Carnevale non poteva mancare.
Come diceva il "Biondo" ne "Il buono, il brutto ed il cattivo": "...qualche passo indietro..."

lunedì 18 ottobre 2010


SOTTO IL SEGNO DEL CANE




Come nelle ultime cinque occasioni, i "cani" biancorossi si aggiudicano il "marele derby" lasciando la "stella" ancora senza luce.




Un odio da morire, o da ferire, magari riducendo in fin di vita, ma almeno bisogna giocarsela. Due volte l'anno si deve dimostrare che il derby eterno, il gran derby, alcune delle definizioni attribuite nel tempo e dal tempo, si gioca e si vince fuori e il campo di battaglia esterno è l'unico unanimemente riconosciuto dalle due tifoserie. Eh sì, perché col Rapid non c'è lo stesso fuoco che arde le passioni: sempre tensioni e botte, pressioni e lotte ma vuoi mettere i "Cani" con le Pecore"?
I cani, il simbolo della Dinamo, ex Ministero dell'Interno, contro le pecore di Becali, che da quando ha assunto la padronanza del club ha marchiato definitivamente la Steaua con tale soprannome (Becali prima di lanciarsi negli affari, nella finanza e nella politica, dopo gli avvenimenti del 1989, era un pastore a capo di un folto gregge di pecore...). E benché cani e pecore in simbiosi si muovono nel gregge, pare che questa alleanza animale ai tifosi non vada giù e solo trasformandosi anch'essi in animali, nell'accezione più feroce del termine, in una sorta di licantropia pallonara, possono giocarsi il loro derby a colpi di bottigliate, sedie, calci, pugni e tutto l'armamentario previsto per le grandi occasioni.
Per tradizione la partita più importante della Romania, ma i tempi passano, gli anni corrono e scavalcano le gerarchie comuniste consolidate nel tempo dai ministeri della capitale a capo dei due club. La nouvelle vague dell'Ardeal (Transilvania), oltre ad aver portato aria fresca nel calcio romeno grazie soprattutto al vincente CFR Cluj, (ma anche al Fc Timisoara, che dispone oramai della tifoseria più calda e presente all'interno degli stadi di tutto il paese), ha visto incrementare, oltre alla competitività, il numero di seguaci e le rivalità cittadine o zonali. Così la violenza fa capolinea a Cluj, nel derby recentemente incendiatosi in seguito alla scalata ai vertici del calcio nazionale del CFR a spese della storica Universitatea Cluj, per tutti la "U", nome vintage del panorama carpatico. Le risse appaiaono costantemente nel duello tra Timisoara ed Arad quando la tifoseria "viola" dei timisoreni combatte contro i biancorossi dell'UTA Arad (quando questi sono in Divizia A) in un duello che divide due città a 50 chilometri di distanza ma ravvicinate dall'astio e dal disprezzo reciproco.
In questo contesto antagonistico spinto all'estremo, la temperatura del classico Steaua-Dinamo viene tenuta alta dalla stampa sportiva e dalle innumerevoli emissioni sportive che dalla tv rilanciano dichiarazioni di intenti belligeranti tra le parti, che il tempo non sopisce ma rinvigorisce nonostante il livello tecnico sia inversamente proporzionale alla scenografia previamente allestita ad arte, quasi a dissimulare le carenze sostanziali dello show.
Tutto codesto preambolo per testimoniare che anche domenica si è vissuta una giornata di ordinaria follia con le vie presidiate da battaglioni di gendarmi, il bus della Steaua presso a pietrate durante il tragitto che conduceva allo stadio e, fatto ancor più cruento, un ragazzo percosso a più non posso dentro un fast-food dove negligentemente si era introdotto e, una volta all'interno, scambiato per uno "spion stelist" che si sarebbe intrufolato in quel covo di dinamovisti per carpire gli ultimi segreti della preparazione coreografico-pirotecnica del match da parte degli ultras biancorossi trafugando idee. Lasciato in una pozza di sangue e trasportato con urgenza all'ospedale, da accertamenti successivi si è venuto a sapere che era il bodyguard della moglie del padrone del tabloid scandalistico "Cancan"...
La partita è quindi strumentale, e l'aspetto tecnico è abilmente nascosto da tv e giornali specializzati, che pompano l'evento settimane prima ben sapendo che poi la montagna partorirà un topolino e gli stessi tifosi che si scatenano nelle coreografie più originali perdono, mano a mano che la gara avanza, decibel nel tifo abbandonando languidamente la gara a se stessa.
La gara per l' appunto!
Le squadre adottano un modulo speculare (4-2-3-1) benchè nelle schermaglie tecnico-tattiche si legga di tutto e di più, a testimonianza che spesso il gioco sui numeri è piuttosto fine a se stesso e fine ad un'aristocrazia giornalistico-calciofilo-tecnico-paranoica che non mi seduce più: dalle lavagne dei professori alle disquisizioni fisico-nucleari su formule innovative che addolciscono la frustrazione di ognuno di noi che è convinto di manovrare Messi con il gessetto e far dribblare Modric grazie al movimento concentrico ottenuto dalla proiezione ortogonale di Huddlestone e Palacios. Tutti si riempiono la bocca nel gioco del nuovo millennio, quello dell'allenatore...nel pallone...!
Nel pallone infatti ci finisco io, visto che nel corso della gara i moduli cambiati sono almeno una quindicina per parte e del 4-2-3-1 c'è traccia solo su un foglietto zuppo d'acqua galleggiante nel Mare di Barents in attesa che qualche balena se lo inghiotta per espellerlo modificato e corretto in un 5-5-5 di astrazione postmoderna.
La Dinamo schiera il redivivo Dolha tra i pali, il carneade spagnolo Rubio (uno che non conoscono nemmeno nella penisola iberica) sulla destra, l'argentino Garat e l'ex senese Moti al centro, l'ex Steaua Bordeanu, (recente acquisizione dall'Unirea Urziceni che con la maglia della Steaua ha disputato ben tre derby), a presidiare la corsia sinistra. In mezzo, il presupposto duetto di mediani si comporrebbe di Margaritescu e del senegalese N'Doye, i tre dietro la punta sono, da destra a sinistra, Torje, Adrian Cristea ed Alexe. La punta è il vecchio lungagnone ex Inverness Marius Niculae, un combattente reduce dal Vietnam vissuto in casa propria visto la dura educazione impartitagli dal padre-padrone.
La Steaua risponde con Tatarusanu in porta, il brasiliano Eder Bonfim a destra, il pupillo del presidente Becali cioè Gardos e il portobrasiliano Geraldo Alves nella cerniera centrale, il guizzante Latovlevici a sinistra che non è altro che il giocatore più utilizzato in questo scorcio iniziale di stagione. I due in mezzo sono il brasiliano Ricardo Gomes ed Apostol (entrambi reduci dall'esperienza comune all'Urziceni) sopravanzati dal terzetto Nicolita, Bogdan Stancu (il capocannoniere di questa stagione) e Tanase, propedeutici all'azione offensiva dell'unico grimaldello offensivo, vale a dire Bilasco che è preferito al greco Kapetanos, ancora punito per lo scempio contro il Napoli in Coppa Uefa.
N'Doye non sta mai in linea con Margaritescu, è sempre più avanti di cinque metri, quindi il 4-2-3-1 è già un 4-1-4-1 dal primo minuto con buona pace del Sudoku. E' anche il più gasato, come sempre, facendosi pizzicare in pochi minuti dall'arbitro e rischiando più volte il doppio giallo per la sua foga inconfondibile che lo rende l'idolo della "peluza dinamovista" come delle discoteche e dei night club dell'intera Bucarest, dove sfoggia il meglio della Savana che si porta dentro, ad iniziare dal look.
Dal ritorno di Marius Niculae alla casa madre la Dinamo non ha mai perso, mentre l'ultima vittoria delle "pecore" risale al lontano agosto 2004 con un gol di Andrei Cristea (ora alla Dinamo) in chiaro fuorigioco e nel finale di gara.
Latovlevici è un pendolino, ma dalla sua parte le correnti d'aria rendono il mare molto mosso in virtù del fatto che Torje batte bandiera liberiana e scappa come un'anguilla, rapidissimo, non si lascia certo pregare nel tagliare fette la fascia sinistra difensiva della Steaua. Il gioco è comunque rossoblu e dopo un cambio posto per posto per infortunio (Garat fuori, Scarlatache dentro per la Dinamo) ed un possibile penalty per la Dinamo (altra ingenuità difensiva di Latovlevici) la Steaua passa con Bogdan Stancu che inforca il suo ottavo gol intervenendo su un radente potente e preciso dalla destra del ficcante Bonfim e trasformandolo in un tape.in. Pochi minuti e la difesa di Lacatus balla ancora concedendo un penalty per un ingenuo fallo di mani di Apostol susseguente ad un angolo. Batte "Printul" Cristea (il principe, eroe dei tabloid scandalistici laddove ogni volta battezza una ragazza diversa) ed è ristabilità la parità. 1-1 risultato tipico di questo derby, fortunoso per la Dinamo per quanto dimostrato. Nemmeno due minuti dopo un'altra voragine sulla sinistra da parte di Latovlevici, Torje gli parte alle spalle aggirando anche il fuorigioco ed ecco che Tatarusanu interviene rovinosamente sul minuscolo attaccante esterno biancorosso causando un rigore solare. Questa volta della battuta si incarica Niculae, ma cambiando i fattori il prodotto non cambia: Tatarusanu da una parte, palla dall'altra. Il tempo si chiude con un paio di incursioni rossoblu ma si va all'intervallo con la sensazione che le ali della Dinamo possano sfasciare l'impianto difensivo della formazione guidata dalla "fiara" (bestia) Lacatus con troppa facilità. Alexe da una parte e Torje dall'altra sono velocissimi ed imprendibili anche perché sulle uscite in campo aperto dei due terzini rossoblu Latovlevici e Bonfim, a seguito di ripartenze biancorosse le sincronie nelle diagonali dei due centrali sono imperfette e la protezione dei mediani nello scalare scarsa. Eppure in panchina ci sono un centrale esperto quale Galamaz e un terzino sinistro capace di fare le due fasi come l'argentino Brandan, ex Unirea Urziceni: entrambi avrebbero potuto rispondere meglio alle esigenze della squadra in questa gara.
Scontri fuori, giornali eccitati ma il tifo, abbandonate le coreografie di inizio gara, resta modesto a livello di appoggio canoro nonostante il punteggio sorrida ai padroni di casa. Si va così al secondo tempo con la funerea sensazione che Bucarest stia diventando sempre più oramai la periferia del calcio romeno ed il cimitero del calcio.
Girandola di cambi dopo il primo quarto d'ora (Brandan per Latovlevici in casa Steaua e l'ivoriano Djakaridja Koné per N'Doye per la Dinamo. Cambi posto per posto). La gara perde ancor più di fascino mentre la Dinamo scompare dal gioco, subendo un monologo della Steaua. Biancorossi spesso assediati nel classico fortino eretto dalla squadre romene negli ultimi scampoli di gara, sia che si tratti d'Europa (qualche giustificazione è evidente) che del campionato interno, dove l'abuso di sceneggiate e pantomime per recuperare ossigeno e far scorrere il cronometro è un metodo costante e tollerato anche dalla classe arbitrale per favorire lo spettacolo già distribuito in dosi massicce sul terreno di gioco.
Il risultato non cambia, il derby neppure, del "marele (il grande) derby rimane lo scolorito ricordo delle fotografie in bianco e nero dei tempi andati...! Alla prossima edizione...






lunedì 11 ottobre 2010



I DOLORI DEL GIOVANE...WERDER!


La Bundesliga, come gli anseatici, ad un bivio.





Il Werder Brema è l'emblema della Bundesliga, spettacolarità ed austerità, voglia di stupire e limiti di velocità da rispettare. Il club anseatico alla cui guida Schaaf ha raggiunto le dodici stagioni è la chiave che apre tutte le porte del massimo campionato tedesco, facendo comprendere i meccanismi che lo regolano meglio di qualsiasi altro.
Da anni la compagine di Brema oscilla come un pendolo alla ricerca della propria dimensione. Sei partecipazioni alla Champions League nelle ultime sette stagioni, una finale ed una semifinale di Coppa Uefa; in campo tanto spettacolo offerto ai propri tifosi e spesso anche agli avversari di turno, quasi imbarazzati dal poter affondare il coltello nel burro della difesa anseatica con irrisoria facilità.
Il limite del Werder è quello della Bundesliga: divertimento dentro e fuori dal campo ma una squadra tedesca non vince una Coppa Europea dal maggio 2001 e bisogna risalire alla fortunosa vittoria ai rigori del Bayern contro il Valencia in quel di Milano. In Coppa Uefa bisogna retrocedere di un millennio e rammentare lo Schalke campione nel 96-97.
In Germania si segna a grappoli, come in nessuno degli altri quattro grandi campionati d'Europa. La media attuale è di 3.16 gol per match contro i 2.67 dell'Inghilterra, i 2.48 della Spagna, i 2.35 dell'Italia e gli appena 2.29 della Francia, il torneo più tirchio ma anche più tattico d'Europa. Da anni è così, sempre in vetta alle medie realizzative europee, ma questi continui nubifragi di reti non fanno altro che far marcire alla radice la qualità del prodotto tedesco una volta esportato nel mercato europeo di alto livello. Il Werder Brema incarna questa filosofia più di ogni altra, dove alla concretezza, inopportunamente abbinata al calcio quando si parla di Germania ricalcando il pletorico ed anacronistico luogo comune dell'effettività teutonica, viene prediletto il gusto del bello, un po' naif, fine a se stesso, un modo platonico di rappresentazione calcistica.
Gli stadi non sono pieni, sono zeppi, il merchandising e tutto l'aspetto commerciale correlato ad esso vanno a gonfie vele, di pari passo con la vendita dei biglietti. La Bundesliga è al vertice tra i campionati di calcio di tutto il mondo per presenze negli stadi avendo oltrepassato la soglia di 42.500 persone di media per partita contro le 35.000 della Premier inglese, al secondo posto nelle statistiche.
I conti della Bundesliga hanno il semaforo verde e i bilanci delle società sorridono essendo i più sani tra i maggiori campionati dell'Europa benché il peso delle tv sia piuttosto marginale nel ricavi delle 18 squadre nonostante il gettito di soldi derivante dal mercato asiatico ed in particolare dal medio oriente, zona geografica nella quale la Bundesliga suscita notevoli interessi ed è molto popolare. Eppure gli stessi conti non tornano: al tirar delle somme in Bundesliga ci sono 9-10 grandi squadre ma nessuna al top europeo, top che rimane ancora un miraggio. Nessuno che scavalchi la soglia del piacere massimo, quasi una frustrazione al raggiungimento dello zenit.
La Bundesliga ottimizza il rapporto ricavi/stipendi con i secondi decisamente contenuti, ma proprio questo aspetto si va ad intersecare pericolosamente con la capacità di vittorie dei club tedeschi, dando una lettura seppur parziale alla scarsa competitività ad altissimo livello dei club. Se non ci sono tanti zeri negli assegni staccati è probabile che le stelle a "cinque stelle" alberghino da un'altra parte. Non è una regola ma ci si regola anche così.
La Bundesliga attrae sponsor nazionali ed esteri ma non è la calamita che rappresenta la Premier League inglese e nemmeno il fascino del calcio bailado della Liga dei campioni del mondo e dei mostri sacri Barcellona e Real Madrid.
E' ancora in fase di studio, si trova in mezzo al guado, tra l'apice dello splendore inglese, al quale non avrebbe nulla da invidiare per passione e spettacolo, e la pericolosa recessione della Serie A, che ha già facilmente scavalcato a livello di competitività e ranking Uefa, ma non compiutamente nella mente degli sportivi di tutto il mondo e di diversi disattenti addetti ai lavori. C'è bisogno del definitivo salto di qualità che riporti ai fasti di metà- fine anni settanta nei quali si registravano persino en plein di squadre dell'allora Germania Ovest nelle semifinali della Coppa Uefa (stagione 1979-80).
C'è stato il momento della Bundesliga, poi si passò alla Serie A con il tentativo di inserimento della Ligue 1 a metà anni ottanta, fallito come lo sfarzoso progetto del Matra Racing, Serie A poi lentamente decaduta e soppiantata dall'incessante avanzata della Liga spagnola che, dalla metà del nuovo millennio ha lasciato le redini del calcio europeo nelle mani degli inventori inglesi.
La Bundesliga, in luna crescente è lo specchio fedele di una restaurazione che fatica ad imporsi. Ci sarebbero denti e pane ma evidentemente la macchina tedesca stenta a mettersi a pieno regime e anzi accusa qualche colpo a vuoto nelle leggi internazionali non scritte del calcio mercato. Recuperiamo proprio il Werder, citato e lasciato poi da parte. Non si intuisce il gran mondiale che disputerà la nazionale e allo stesso tempo il gioiellino di casa Ozil, non gli si rinnova il contratto per tempo, e quando le sirene spagnole iniziano a farsi sentire, Allofs, il general manager, deve cedere senza tentennamenti il calciatore e senza avere voce in capitolo sul prezzo, anzi deve ritenersi soddisfatto per aver incassato una quindicina di milioni di euro. Lo stesso accadeva qualche giorno prima allo Stoccarda con Sami Khedira mentre la Bundesliga, come un qualsiasi campionato geriatrico del Medio oriente dove svernano i "cannavari", acquisiva Raul!

venerdì 11 giugno 2010


DIECI PIU' DUE= UNO


A poche ore dal calcio d'inizio dei mondiali passiamo in rassegna le dieci potenziali candidate al titolo più due outsider di lusso. Dodici, ma solo una alzerà la coppa.





SPAGNA: favorita numero uno, anzi unica favorita se proprio vogliamo dirla tutta. Alzi la mano chi trova una squadra che giochi meglio, più amalgamata e con un 23 di così alto livello. Scaramanzie a parte, è l'ora di sfatare tabù ed inganni che la storia del pallone ha riservato a questa gloriosa nazionale. Rigori, arbitri, gomitate con sangue, pali e traverse ora basta, fatevi da parte e lasciate spazio all'incedere sontuoso dell' "Invencible Armada", squadra che può permettersi 3 portieri extra lusso e di lasciarne a casa altrettanti, squadra che a centrocampo vendemmia gioia di vivere con una dozzina di funamboli (tra convocati e convocabili) e che davanti morde come un crotalo. Del Bosque ha selezionato come meglio non poteva e se Senna poteva lasciarsi preferire a Javi Martinez per il resto chi è rimasto a casa non può imprecare contro ostracismi vari. Vero è che gente come Palop, Diego Lopez, Arteta, Cazorla, Guiza, Iraola, Pablo Hernandez, Joaquin entrerebbe di diritto nelle rose di molte delle altre candidate, però la completezza e organicità delle scelte del "baffone" non ammettono repliche di sorta. Girone da vincere, poi incrocio insidiosissimo negli ottavi: dopo quella gara si capiranno mille cose.

OLANDA: seconda favorita d'obbligo. Noblesse oblige. Robben, Van persie, Sneijder, Van der Vaart, Elia, Kuijt, Afellay..., bastano?? Un concentrato di talento che gli Harlem Globe Trotters impallidirebbero. Nelle amichevoli ha macellato avversari, nel girone di qualificazione 8 vittorie su 8. Cruccio in porta con l'abbandono di Van der Sar, qualche discrasia strutturale nella terza linea ma le due dighe di centrocampo deputate a ringhiare, De Jong e Van Bommel sono di denominazione d'origine controllata. Rimasti a casa il vecchio leone Van Nistelrooy, il talento di Bakkal e Beerens, l'apatia di Emanuelson, la freschezza del trio Feyenoord Fer, Biseswar, Wijnaldum, la geometria di Mendes da Silva, la forma stagionale di Loovens e Brama, l'irruenza di Drenthe. Oddio, dimenticavo: che non si arrivi ai rigori e che non ci si guardi troppo allo specchio e se non succederà arrivederci alla finale dell' undici luglio per sfatare una maledizione.


BRASILE: nonostante le cervellotiche convocazioni del "Cucciolo" il Brasile entra come terza favorita. Kleberson, Felipe Melo, Julio Baptista a centrocampo sono un insulto per i 200 rimasti a casa. Doni in porta vive di gratitudini ma Fabio, Bruno, Victor, Felipe, Diego Alves, Julio Sergio che ci stanno a parare a fare? Gilberto a sinistra è l'ultimo mostro partorito dall' italo-tedesco Dunga. Juan, Andrè Santos, Marcelo, Leo, Filipe Luis sono a revisione per la sostituzione del fegato. Il Brasile rischia di essere la favorita che esce subito subito, prima ancora che ci si inizi a divertire. Motivi? Due. Uno dettato dal girone, secondo perché tutta la batteria di giocatori dal centrocampo in su in questa stagione ha profondamente e compiutamente deluso in tutte le sperdute lande nelle quali ha giocato. Nomi? Eccoli: Kakà, Robinho, Luis Fabiano, Nilmar, Felipe Melo, Josuè, Elano, Julio Baptista. Salvi solo in parte Grafite (io stravedo per lui, perdonatemi), Gilberto Silva (doppietta, coppa, campionato in Grecia) e Ramires (non certo il più brillante di un Benfica scintillante). Si saranno risparmiati per il mondiale? Intanto Neymar, Paulo Henrique Ganso, André, Leo, Dentinho, Dagoberto, Hernanes, Richarlyson, Miranda, Diego Souza, Cleiton Xavier, Sandro, Andrezinho, Juan, Leo Moura, Douglas Costa, Jadson, Fernandinho, Ilsinho, Gerson Magrao, Leandro Almeida, Maicosuel, Renato Augusto, Carlos Eduardo, Naldo, Alex Costa, Alex Meschini, Alex de Souza, Andrè Santos, Cristian, Filipe Luis, Marcelo, Alexandre Pato, Ronaldinho, Hulk altri ancora più i portieri citati se ne staranno a sorseggiare un boccale ghiacciato di Brahma (portata dal Brasile) sulle spiagge delle isolette dell'oceano indiano che tanti calciatori attirano. In bocca al lupo per chi ha puntato soldoni sul Brasile vincitore!


INGHILTERRA: sfidare il mondo senza un portiere. Ecco quello che si prefigge l'Inghilterra di Sir Fabio per accarezzare il sogno di bissare la coppa casalinga del 1966. James sarebbe anche un buon portiere se non sbagliasse. Tra Hart e Green ci vuole cuore (Heart per la verità) per non rimanere al verde anche stavolta. Rio, il fiume più ricco al mondo, è rimasto a casa per un infortunio che sta accompagnando sentitamente il suo finale di carriera, Beckham aveva già lasciato la barca da tempo come Bridge, ma per motivi opposti. Ci aggrappiamo a Roooonaldo e alla sua spalla, ad un centrocampo di qualità e all'acqua santa. A casa Ashley Young ed Agbonlahor per via della stagione sottotono con il Villa (ma è un grave errore), at home il giovane portento Adam Johnson e l'ala che fu Walcott, a casa Huddlestone (incomprensibile) e qualche altro. Girone abbordabile, a differenza di quello delle qualificazioni trionfalmente vinto, poi insidie già dagli ottavi.


ARGENTINA: il suicidio di uno stato. Maradona è in grado di paralizzare una nazione dalle grandi prospettive più di quanto il vulcano islandese paralizzò l'Europa poco tempo fa. Scelte di naso con colpi di scena più che nei film di Stanley Kubrick. Nonostante la statura il Pibe ci ha abituato a colpi di testa letali per tutti. L'Argentina è l'unica nazionale nella quale i 23 che sono rimasti a casa sono più forti dei 23 condotti al macello in Sudafrica. Lucho Gonzales, Lisandro Lopez, Riquelme, Cambiasso, Banega, Gaitan, Zanetti, Aimar, Saviola, D'Alessandro, Ansaldi, Perotti, Gonzalo Rodriguez, Lavezzi, Zarate, Bergessio. E se molti di questi sarebbero stati doppioni dei magnifici cinque (Messi, Aguero, Tevez, Higuain, Milito), trovare un posto in più (Lisandro Lopez magari) lasciando a casa Martin "El Loco" Palermo sarebbe stato un atto di riconoscenza dovuto alla seleccion e di non riconoscenza a chi pur avendo praticamente fatto staccare il pass all'albiceleste, ha quasi trentasette primavere sul groppone. Bolatti, Veron e Garcè dentro lasciano poi letteralmente ghiacciati, senza speranze, senza illusioni di veder rinsavire un intero staff in preda a deliri schizofrenici. Se l'Argentina porterà a casa il mondiale non mi si venga più ad insinuare che i tecnici nel calcio contino più dello 0.5 %. Fatti tutti questi debiti preamboli, la nazionale argentina ha comunque carente in tutti e tre i guardameta e in una difesa statica e priva (nei potenziali titolari) di terzini di ruolo.


GERMANIA: i tedeschi si posizionano al sesto posto nella griglia perché la lucentezza di tutte le amichevoli premondiali disputate non può essere sono un abbaglio pre estivo. Gioco, velocità nell'eseguirlo, forze fresche e un far fronte agli infortuni in maniera efficace mi fa rivalutare questa banda di ragazzini che ha rifornito la Germania a livello giovanile negli ultimi due anni come non mai (Europei under 17, 19, e 21). Out per infortuni Ballack, Westermann, Adler, Trasch, Rolfes, out per scelte tecniche gentner, Riether, Hummels, Schaefer, Beck, Kuranyi. Loew si affida a sei ancora in età da under 21, a tre 1987, a un 1986, a tre 1985 ed a quattro 1984: un asilo nido insomma...
Portieri forti, nonostante l'assenza di Adler (e quella ben più dolorosa di Enke), difesa da registrare al centro e a rischio folate di vento e velocità, centrocampo flessibile e tanto, tanto movimento davanti dove Ozil e Marin (i due Werder) pare cogliano prendersi tutta per loro la scena mondiale.


FRANCIA: Domenech o no, prima di dare la Francia per spacciata ci penserei non una e nemmeno due, ma almeno tre volte. Non più Zidane, Henry che manda in campo il cugino della Guadalupa, Ribery alle prese con le donnacce, Benzema lasciato a riflettere su ragazzine (vedi Ribery) e Madrid, Ben Arfa dimenticato colpevolmente (come Nasri), Lassana Diarra ammalatosi e Moussa Sissoko al quale non è stata data la chance. Difesa che ha dimenticato nell'Esagono Fanni, Rami, Escudé e Cissokho ma in quanto a talento la Francia è pur sempre la Francia. Detto che in porta non ci sono fenomeni e Lloris è tutto fuorché un grande portiere (Mandanda ha fisico da vendere e tecnica da comprare), per il resto il tecnico più antipatico del secolo e che si farà da parte dopo i mondiali, potrà contare su una squadra che parte a fari spenti, e rotti, aggiungerei io. La mano galeotta di Henry che ha qualificato (ma non che senza la mano l'Irlanda sarebbe arrivata ai mondiali, visto che c'erano comunque i rigori: a meno che i profeti pro Irlanda non sapessero già lo sviluppo dei medesimi...) i transalpini costerà a livello di immagine, ma appena Malouda, Gourcuff e Ribery delizieranno la platea tutto sarà presto finito nel capitolo oblio.


PORTOGALLO: come non mettere i lusitani del Ronaldo vero tra i favoriti, in fondo ma tra quelli. Peccato che il mosaico di Queiroz abbia perso, cammin facendo, gente del valore assoluto come Bosingwa e Nani e che lo stesso non abbia portato con se fior di centrocampisti come Joao Moutinho e Manelele (Manuel Fernandes) ma il recupero fisico in extremis del violento campione Pepe è garanzia in una difesa che può già contare con gente al top nel ruolo come Bruno Alves, Ricardo Carvalho (Fernando Meira uscito dal giro). Un centrocampo un po' troppo lineare e muscolare (Raul Meireles, Pedro Mendes, Miguel Veloso, Tiago) e un attacco che ha trovato il fromboliere nel brasiliano Liedson accompagnato da trequartisti ed ali di tutto rispetto (Danny, Simao, Deco). Uscire dal girone sarà comunque un'impresa, poi c'è la...SPAGNA, forse!


ITALIA: si è ritornati ai primi anni ottanta quando il Partito Comunista era al suo massimo storico e Berlinguer era l'icona degli operai. Una squadra di metalmeccanici nella quale è proibito dalla costituzione (anche quella materna) distillare classe e una nazione-nazionale che per trovare un dribblatore è dovuta andare a scovare uno sconosciuto argentino nel campionato messicano e naturalizzarlo in fretta e furia. 60 milioni di abitanti e talenti filtrati col contagocce manco si fosse nel periodo della "grande depressione" del 1929. Tre con qualità lasciati a fare la muffa a casa (Balotelli, Cassano e l'infortunato Miccoli), due che vivono dell'ostracismo, del provincialismo e dell'ottusità del C.T. che non chiama gente che gioca all'estero (Rossi e Diamanti), quindi a sorreggere le speranze azzurre è rimasta solo la cabala e il girone (il più comodo): 1-1 con la Svizzera nelle amichevoli premondiali del 1982 e del 2006. Un paese di scaramantici e scommettitori ha già trovato l'ancora cui aggrapparsi (oltre a Buffon).


COSTA D'AVORIO: per talento superiore ad altre ma Africa è Africa cari amisci (come direbbe Altafini). In più c'è Eriksson e se due indizi fanno una prova allora mi sa che anche per questa volta dovremmo accontentarci di vedere sfilare gli Elefanti per tornare nella riserva in un batter d'occhio. Drogba giocherà pure col braccio rotto e questo è il terzo indizio che dovrebbe mettere la pietra tombale sulle speranze (altrimenti legittime) ivoriane di issarsi tra le prime 4 del mondo. Tolto il portiere non manca nulla, forse qualche ricambio, ma 15-16 giocatori sono top class nei rispettivi ruoli. L'attacco può essere micidiale (Kalou, A.K Keita, Gervinho, Drogba) per tutti...


SERBIA: prima delle due outsider di lusso. Difesa da sogno, forse la migliore della rassegna nei quattro titolari (Ivanovic-Subotic-Vidic-Kolarov), portiere tra i più scadenti del mondiale, centrocampo più robusto che qualitativo (ma Jovanovic non si scambia con nessuno per classe) e con ricambi adeguati, attacco ridotto all'osso e senza troppo talento. serviranno i cross di Krasic per i 202 centimetri di Zigic o le incursioni di Stankovic e/o Kacar, Kuzmanovic, Ninkovic, il giovane Petrovic sempre che Milijas non faccia solo un ruolo di copertura.


CAMERUN: Le Guen ha in mano un gioiellino, forgiato quasi esclusivamente da lui ma non so se si renda conto che questa squadra ha potenziali per andare molto avanti (visto anche girone e accoppiamenti futuribili) a patto che con una mossa coraggiosa metta da parte alcuni senatori oramai inabili per questi livelli. Ottime tante scelte, come quelle di naturalizzare Matip e Choupo Moting (tedeschi-cemerunensi), Bassong e Bong (quest'ultimo nato in Camerun) che vanno a rinverdire una rosa composta già da elementi di spicco in ogni settore: Kameni, N'Koulou, Assou-Ekotto, Chedjou, M'Bia, Emana, Makoun, Enoh, Alexandre Song. In attacco non solo Eto'o, ma anche Webo positivo a Maiorca, Idrissou fisico e tecnico allo stesso tempo. Insomma, se Le Guen eviterà di fidarsi dei vecchietti Rigobert Song e Geremi Njitap e dara spazio alla linea verde ne vedremo delle belle e chi si parerà di fronte ai Leoni rischia di non avere un bel ricordo.

mercoledì 21 aprile 2010



BUS...COTTI??




Breve analisi del pre gara tra Bayern e Lione.


La seconda semifinale di Champions League vedrà di fronte all'Allianz Arena due squadre che si sono già affrontate più volte in questa manifestazione e il cui penultimo atto è stato giusto un anno orsono nella fase a gironi. Siccome cabala e ricorsi storici fanno storia a se e lasciano il tempo che trovano, lo scontro di stasera assumerà caratteristiche proprie e peculiari di una gara che spalancherà per il 50% le porte del Santiago Bernabeu.
Se in casa tedesca gli investimenti estivi lasciavano intendere una stagione da forti tinte rosso passione, l'inizio di stagione presagiva a nefaste sventure mentre sulle sponde del Rodano la mini rivoluzione voluta da Aulas non era finalizzata ad abbattere il tabù oramai consolidato dell'ostacolo quarti di finale proprio per questa stagione. Invece i savoiardi sono stati proiettati in semifinale dopo un sanguinolento scontro fratricida con il Bordeaux che ha avuto ripercussioni anche nella recente giornata di Ligue 1.
La gara di stasera apre quindi orizzonti e prelude a scenari che sia nell'una che nell'altra sponda appena qualche mese fa apparivano soltanto sbiadite chimere cui non dar troppo seguito.
Il Bayern arriva a questa semifinale dopo aver violentato la Juventus a Torino in una gara decisiva per le sorti del suo mentore Van Gaal e che ha permesso di rimanere aggrappati alla competizione. I due turni ad eliminazione diretta hanno visto prevalere i bavaresi dopo sofferenze indicibili ed in seguito a risultati speculari sia con la Fiorentina che contro lo United che hanno mostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, la capacità di restare in gara anche a risultato quasi compromesso, mantenendo sempre ferma la fede nelle proprie qualità ed il filo conduttore del gioco propositivo a corroborare questa fede e fungere da grimaldello per squartare le certezze altrui. Avere sempre la convinzione del potercela fare sembra un "refrain" che ottiene il premio della Dea Bendata quando ci si presenta per la riscossione al termine dei 180 minuti.
Il Lione ci giunge dopo esser passato al Bernabeu e aver saccheggiato gli ori e gli umori di Florentino spianando la corazzata Merengue, forgiata quest'ultima, nell'illusoria certezza che la carica dei 300 (milioni) avrebbe potuto condurre direttamente in Paradiso senza dover aspettare nemmeno un istante nella "sala d'attesa" del Purgatorio e ci giunge dopo il derby sopra menzionato con gli aquitani del Bordeaux.
I punti di forza dei bavaresi risiedono in questa spiccata dote di autostima e l'autoconvincimento che nessun valico è insormontabile. La coppia di ali rinascimentali Robben-Ribery permette all'aeromobile di mantenere il volo proprio quando la tempesta tropicale che si abbatte sulla retroguardia del velivolo lascerebbe prospettare un inabissamento. La solidità mentale inculcata dal sergente Van Gaal, ed un Olic dal cuore grande così fanno il resto. Dietro invece sembra di essere al carnevale di Rio, si balla che è un piacere e le garanzie offerte dal quartetto Butt, Van Buyten, Demichelis, Contento (o Badstuber) sono le stesse dei bond argentini. Butt impacciato, persino demodé nei suoi goffi interventi, Demichelis spesso fuori tempo e portato ad iniziare l'azione palla al piede sapendo di mettere in difficoltà l'intero reparto a palla persa (quasi una regola), Van Buyten regala gli unici momenti di luce ed è pericoloso davanti sui calci piazzati (meglio se sono angoli), ma se imbrocca la serata no, (e visto il compagno di reparto...), sono dolori per l'intera retroguardia. Difesa che a sinistra ha scoperto "paisà" Contento e lanciato in orbita il minorenne Alaba perchè Braafheid è stato spedito a farsi le ossa a Glasgow e Pranjic rimodellato centrocampista esterno od interno ma giammai terzino sinistro, ruolo nel quale si è disimpegnato maldestramente anche Badstuber nella serata da sogno nel teatro di Manchester. Questa sera in mezzo al campo mancherà il falegname Van Bommel (al suo posto Pranjic) e Olic sarà supportato da un Muller non troppo a suo agio nel mantenere il ruolo di grande promessa del calcio teutonico.
Il Lione arriverà in Baviera dopo quasi 800 ore di bus, con la certezza di potercela fare avendo una squadra solida ed equilibrata con una difesa ben più organica dei rivali e al completo nel suo schieramento abituale. Lloris sarà il titolare francese in Sudafrica, Reveillère dovrà fronteggiare il compagno di nazionale Ribery (potrebbe trovarsi l' alternativa Robben, cioè come cadere dalla padella alla brace), Cris e Toulalan ricomporranno la coppia centrale, mentre il franco-senegalese Aly Cissokho dovrà fare molta attenzione nelle sporadiche salite visto che dirimpetto troverà quel Robben che ha mandato lo Schalke a casa in semifinale di Coppa di Germania con un gol sontuoso, prima aveva spedito i Della Valle a recriminare dopo aver ripulito dalle ragnatele il sette di una porta del "Franchi" e a Manchester ha deciso di trasformarsi in circense quando con una volèe bella, chirurgica e spettacolare ha trasformato in realtà il cammino verso Madrid della squadra di Van Gaal. Cissokho avrà ordini ben precisi, impartitigli da Puel, di evitare le consuete sgroppate sulla sinistra, ma anche solo 2,3 distrazioni potrebbero essere fatali. In questo senso la copertura ed i raddoppi del centrocampo saranno linfa vitale per l'ex Porto. Zona mediana dove dovrebbero attuare opera di schermatura il recuperato Jean Makoun ed il giovane Gonalons, mentre i tre che dovrebbero partire titolari dietro la punta Lisandro dovrebbero essere Pjanic al centro, Michel Bastos a sinistra e Delgado a destra. L'arma letale Lisandro potrebbe essere mortifera per la cerniera centrale bavarese con il suo gioco ad elastico fatto di accelerazioni sul filo dell'offside, così come le incursioni di Bastos sul lato di un Lahm che potrebbe prediligere la proposizione nella catena di destra sovrapponendosi a Robben e lasciando quindi invitanti varchi per il veloce brasiliano. Attenzione alle punizioni di Pjanic, autentico specialista ed in qualche modo erede dell'indimenticato Juninho Pernambucano, sempre che Puel non gli prediliga un altro esecutore di tiri piazzati come lo svdese Kallstroem, più rivolto al gioco di copertura e massiccio quanto basta per rafforzare una mediana che già conta sull'appoggio del corpulento Gonalons.



giovedì 1 aprile 2010


GIOVEDI'...SANTO!








Finalmente la Coppa Uefa, o come diavolo la chiamano in questi tempi moderni dove hanno trasformato la vecchia, dolce e rassicurante Coppa Campioni in un circo in cui non manca più nulla, compresi arbitraggi clownistici e museo degli...errori che ha visto una due giorni di quarti di finale con gare a tratti raccapriccianti (Bayern-Manchester United, primo tempo di Inter-Cska) per un presunto spettacolo calcistico ai massimi livelli che dire che lascia a desiderare è puro eufemismo. La mia lotta eterna a favore della Coppa Uefa non deve lasciare però indifferenti color che leggono queste disperate righe da ultimo dei Mohicani perché tra sedicesimi ed ottavi ha regalato secchiate di spettacolo e il ritorno degli ottavi sarebbe buona regola definire epico tante sono state le emozioni, il gioco spettacolare, le rimonte cercate e riuscite, quelle mancate per un soffio, al termine di 8 gare che hanno portato in dote gran calcio e 34 reti, 8 gol a partita di media.
Proviamo quindi a tracciare (per quanto possibile) il quadro di questi quarti di finale mediante una breve analisi.

FULHAM-WOLFSBURG: la prima pallina estratta da Uwe Seeler, indimenticato bomber amburghese, conteneva il bigliettino di quel Fulham al quale in molti avevano cantato il Requiem al momento dell'accoppiamento con la Juventus e ancor di più dopo la gara d'andata persa per 3-1 in quel di Torino. Invece la mirabile prestazione del Cottage ha sovvertito match e pronostici affrettati. I londinesi capeggiati da Roy Hodgson, dopo esser usciti vivi per il rotto della cuffia ma meritatamente dal gruppo E, hanno eliminato di seguito i campioni in carica dello Shakhtar e la Juventus, due delle presunte favorite. E se con gli ucraini la buona sorte è stata dalla loro in entrambi i match (impressionante il tambureggiamento al quale sono stati sottoposti a Donetsk) la rimonta coi torinesi è stata perentoria e senza appello. Prima assoluta per i Cottagers a questo stadio della manifestazione, aspetto che li accomuna agli avversari tedeschi, la formazione dello scozzese si fonda su un organico di buon livello nel quale spiccano elementi di estrema valenza tecnica e prestigio internazionale quali Schwarzer, Hangeland, Duff, Dempsey e Zamora (oltre all'infortunato Andy Johnson) per un 4-4-2 omogeneo e lineare che patisce un po' di rigidità in trasferta ma che si produce in esibizioni brillanti e piene di verve tra le mura antiche ed amiche del Craven Cottage, tra gli stadi maggiormente "vintage" dell'intera piramide calcistica inglese. I bianchi sono stati accoppiati ai campioni uscenti della Bundesliga, quel Wolfsburg che l'anno passato ha macinato gli avversari in patria grazie ad un tecnico vincente (Magath) e ad un tridente offensivo per il quale nessun'iperbole andrebbe sprecata. Misimovic dietro ai frombolieri Dzeko e Grafite è un terzetto che poche squadre europee hanno il vanto di possedere ed è stato la chiave del primo storico successo in Bundesliga della squadra della città della Volkswagen. A mal partito nel rispettivo girone di Champions, i verdi sono stati dirottati in Uefa dove hanno dapprima superato il difficile ostacolo spagnolo del Villarreal e poi il duplice campione di Russia: il sorprendente Rubin Kazan che ha fatto vedere i sorci verdi ai...verdi, in entrambe le gare. Scampati per miracolo dall'eliminazione contro i tartari in una gara di ritorno decisamente aperta, dai mille sviluppi e decisasi al 120° minuto, i giocatori del neo tecnico Kostner (subentrato alla deprimente gestione Veh) puntano forte al successo in questa manifestazione anche perché il distacco nel torneo interno è tale da rendere al momento utopico l'obiettivo europeo per la stagione ventura. Compagine dal potenziale estremamente elevato in tutti i settori del campo si dispone in campo col modulo cosiddetto a "rombo" in cui il vertice basso e il nazionale brasiliano Josué mentre ai lati giostrano abitualmente i neo nazionali tedeschi Riether (destra) e Gentner (sinistra). Il vertice avanzato a quel Misimovic cui abbiamo accennato pocanzi e che serve da rampa di lancio per le due bocche di fuoco sopra dette.Il Wolfsburg ha l'occasione di raggiungere una semifinale che potrebbe vederla affrontare un derby fratricida contro l'Amburgo in un appuntamento con la storia che la cittadina (120.000 ab.) della Bassa Sassonia non vuole fallire .
Gara aperta ad ogni pronostico che dovrebbe decidersi sul filo di lana al termine dei 180 minuti (se basteranno).


AMBURGO-STANDARD LIEGI: sfida inedita anche quella tra tedeschi e belgi e rinnovato duello della formazione del nord Germania con una belga dopo aver sofferto per l'eliminazione dell'Anderlecht nel turno precedente. Cammino apparentemente in scioltezza per i valloni che dopo aver acciuffato per un..."Bolat" la qualificazione ai sedicesimi Uefa (ricordiamo tutti il gol allo scadere contro l'AZ nei gruppi Champions) si è trovata ad affrontare squadre che non appartengono a paesi del gotha continentale: Austria (Salisburgo) e Grecia (PAO) per planare in terra di Germania, nella città dove si disputerà la finale della corrente edizione. Amburgo abbonato a squadre del Benelux visto che proprio il debutto della fase ad eliminazione diretta l'aveva visto eliminare in sofferenza il PSV di Rutten. Già ai quarti lo scorso anno, la formazione tra le otto con il maggior numero di gettoni nella Coppa Uefa (vecchia e nuova edizione), parte con i favori del pronostico sbilanciati a proprio favore. Un organico d'eccellenza con quattro punte stellari (Van Nistelrooy, Petric, Berg e Guerrero), ali, rifinitori e mezze punte di enorme talento (Trochowski, Elia, Pitroipa, Torun), una mediana solida (Jarolim, Ze Roberto, Aogo, Rincon) e una difesa d'esperienza e gioventù (Mathijsen, Rozehnal, Rost, Demel per la prima qualità, J. Boateng e Jansen per la seguente) per un 4-4-2 che non può che far inserire di diritto l'HSV 2009-2010 guidato da Labbadia tra le massime favorite alla vittoria finale del trofeo. Lo Standard l'ultima volta che si è trovata di fronte l'ostacolo quarti di finale (81-82) è arrivata sino in fondo disputando la finale di Coppa delle Coppe col Barcellona (finale persa per 2-1 al Camp Nou). Il neo tecnico dei valloni D'Onofrio si basa su un sistema 4-3-1-2 oppure utilizza il cosiddetto "albero di Natale" (4-3-2-1) in cui gli uomini di centrocampo ed attacco ricoprono il ruolo di stelle della squadra di Liegi. Jovanovic, Witsel e Defour sono gli elementi di classe cristallina mentre il naturalizzato belga (è brasiliano) De Camargo e il congolese (ex Zaire) Mbokani ci mettono fisico e tecnica per completare un quintetto che nelle giornate di vena è decisamente temibile. squadra ostica e inafferrabile dal punto di vista del pronostico, ne sanno qualcosa Liverpool (che l'anno scorso ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie nel terzo turno preliminare della scorsa Champions), l'Everton (squadra affrontata successivamente ed eliminata nel primo turno di Coppa Uefa), e Stoccarda, Sampdoria, Siviglia e Partizan tutte finite in fila ai belgi nel gironcino della stessa Uefa 2008-09.


VALENCIA-ATLETICO MADRID: l'altra parte del tabellone di stile tennistico ha fatto sì che la sorte mettesse di fronte Valencia ed Atletico Madrid per il 41 derby spagnolo nelle coppe europee che, comunque vada, garantirà alla nazione iberica una presenza in semifinale a distanza di appena tre anni dall'ultima massiccia presenza spagnola in questa fase della manifestazione. La stagione 2006-07 vide la presenza di tre squadre spagnole su quattro nel carré finale (Espanyol, Osasuna e Siviglia, poi vincitrice contro i catalani ai penalties) con il solo werder ha insinuarsi tra l'egemonia del paese dei tori. Atletico reduce da un'annata fatta di molti bassi e qualche acuto, essenziale però per aggiudicarsi un posto nella finale della Copa del Rey e per arrivare, seppur a stento a questi quarti di uefa. Dopo un girone di Champions aberrante con appena 3 punti incamerati e a parità di classifica coi ciprioti (!) dell'Apoel Nicosia, nonostante anche una differenza reti peggiore degli isolani, aver fatto valere la legge del doppio confronto (1-1 a Nicosia e...0-0 al Calderon) dimostra già da se quanto la stagione dei "colchoneros" sia stata tarvagliata. Superato a fatica (e con l'aiuto di un imbarazzante Rocchi, arbitro della gara di ritorno ad Istanbul) il Galatasaray della vecchia conoscenza spagnola Rijkaard, nel turno successivo ha estromesso uno Sporting Lisbona in totale disarmo nella Superliga portoghese ma che è riuscito quasi nell'intento di "gambizzare" gli uomini di Quique Flores (per lui un altro derby, visto che lo scorso anno allenava il Benfica). Quique Flores, che afrfronterà la squadra dove ha trascorso quasi tutta la sua carriera da calciatore e dove ha allenato prima di approdare in Portogallo, in sella da ottobre applica il classico modulo molto in voga in Spagna, quel 4-2-3-1 con il "doble pivote" davanti ad una difesa da "incubo" nella quale spiccano le nefandezze di Perea, icona colombiana dell'anti-difensore. La forza della squadra risiede nel quartetto offensivo, da destra a sinistra Reyes-Aguero-Simao e leggermente più avanzato del Kun, il pistolero Forlan, autentica macchina che sforna reti. Largamente arretrato nella Liga, l'Atletico copero versione 2009-10 potrebbe sfruttare queste occasioni per incamerare qualche trofeo in una bacheca impolverata e che reclama "visite" dalla stagione 1995-96, quella del "doblete" Coppa e Campionato con al timone il serbo Antic e Caminero, Pantic, Kiko e Penev guide sul campo.
Il Valencia, terza forza della Liga, sia per classifica che per organico, approda a questo stato della competizione dopo un turno comodo contro il Bruges (ma risolto ai supplementari causa uno Stijnen, portiere dei belgi, superlativo) e uno molto arduo ma altrettanto spettacolare contro la banda offensivista capeggiata da "baffone" Schaaf, uno che non concepisce altro sistema che non sia l'attacco all'arma bianca per 90 minuti più recupero eventuale. Dopo l'1-1 del Mestalla (viziato da un arbitraggio comico dell'inglese Atkinson: vedere rigore assegnato ai tedeschi al riguardo), la gara in Germania è stata un continuo alternarsi di fuochi d'artificio ed alla fine della rassegna pirotecnica i "che" hanno avuto la meglio, anche grazie ad un Villa mortifero a tutte la latitudini in cui viene posto un pallone da calciare. Unai Emery, basco di Hondarribia, è anche lui un adepto del 4-2-3-1 con Banega e Marchena volanti (o anche Albelda e Baraja, ovvero Maduro e "Manelele" Manuel Fernandes. Ma l'argentino è un punto fisso e insostituibile nell'ingranaggio di Emery come collante tra difesa ed attacco) davanti ai 4 difensori mentre il poker offensivo è tra i più esplosivi del pianeta. Villa accompagnato da Mata a sinistra, Silva appena dietro e Joaquin a destra. Tutti giocatori con posizioni interscambiabili e sostituibili da gente del calibro di Pablo Hernandez, Jordi Alba, Vicente (se mai tornasse quello pre infortunio) o il "Chori" Dominguez. Insomma: non si può dire che al vulcanico (per come vive le gare da bordo campo: un vero spettacolo) Unai manchi la materia prima...! Passando eventualmente questo turno, per il Valencia potrebbero aprirsi le porte dell'amarcord con il ritorno al Luis Casanova di Benitez, non certo uno che sia passato inosservato da queste parti...!


BENFICA-LIVERPOOL. probabilmente è il quarto più rilevante dal punto di vista tecnico, forse sarà il più combattuto, sicuramente è quello con più lignaggio visto che stiamo parlando di due autentiche big del calcio continentale. Il Benfica tenta di ritornarci attraverso un'oculata ma al tempo stesso faraonica campagna di rafforzamento che ha visto il manager Rui Costa condurre al Da Luz diversi pezzi pregiati del mercato internazionale. Tra questi emerge la figura del rosarino Angel Di Maria, devastante ala di appena 22 anni e destinato ad una carriera luminosissima. allo stato attuale pare che il suo valore si aggiri sui 40 milioni di euro ma è probabile che dopo i mondiali possa scatenarsi un'asta a colpi di sterline sempre che Florentino o Guardiola non decidano di intromettersi. Il Benfica versione Jorge Jesus, pragmatico e spettacolare tecnico dei lusitani, ex Braga, è una squadra completa perché racchiude caratteristiche fisiche e tecniche in tale e tanta quantità da poter esser definita la vera grande fuori dal circuito dei 5 top campionati (Inghilterra, Germania, Spagna, Francia ed Italia). una compagine che potrebbe disputare al vertice qualsiasi di questi tornei risultando la terza forza solo in Premier e nella Liga del duopolio, ma lo affermo senza tema di smentite, potrebbe vincere i campionati di Francia, Germania ed Italia. Completa, organica, un gioco che esalta tecnica e ritmo, il lavoro di Jesus sta dando frutti anche in campionato che spera di rivincere (ha 6 punti di vantaggio sul Braga) dopo cinque anni di astinenza. La formazione base si schiera con un 4-4-2 col sistema del rombo e prevede l'impiego di giocatori dal profilo tecnico molto elevato escludendo il ruolo del portiere conteso tra Quim e Julio Cesar. La coppia di centrali difensivi è tra le migliori e complementari del Continente (il pelato Luisao e il riccioluto David Luiz), sulle fasce agiscono il tamburino uruguaiano Maxi Pereira a destra e il biondo fabio Coentrao a sinistra. Vertice basso del quartetto di centrocampo e quel Javi Garcia molto promettente ai tempi delle giovanili del Real e nelle nazionali spagnole. Esterni: a destra il titolare della nazionale verdeoro, Ramires, a sinistra il portento Di Maria, in rifinitura Aimar e i due stoccatori sono "el conejo" Saviola, seconda punta e Oscar Cardozo, gigante paraguaiano dal tiro al fulmicotone e prodigioso nel gioco aereo con i suoi 194 cm. Ottimi ricambi un po' in tutti i ruoli ne fanno una squadra candidata al titolo. L'altra squadra di Liverpool che ha sfidato il Benfica in questa stagione è stata macellata con un passivo inequivocabile 0 a 7 nei due confronti. Nei sedicesimi è andata a spasso con i derelitti tedeschi dell'Hertha, negli ottavi è stata mandata avanti da un gol del talento brasiliano Alan Kardec, giovane verdeoro impegnano agli scorsi mondiali under 20 ed arrivato nel mercato di gennaio.
Benitez è molto contestato dai supporters dei reds che dopo stagioni in grande spolvero a livello europeo avevano fatto la bocca alla riconquista della Premier dopo la splendida campagna passata. Eppure la stagione era partita male visto che il fulcro del centrocampo, Xabi Alonso, aveva lasciato le sponde della Mersey per tornare a fabbricare calcio in Spagna. La sostituzione con Aquilani, già dubbia nei prodromi della trattativa, si rivelava fallimentare alla luce degli infortuni dell'italiano e della diversa potenzialità tecnica rispetto al basco. Con un Gerrard così così, un Torres a lungo infortunato e un gioco poco convincente, la compagine di Liverpool si impantanava ben presto nella Premier dovendo dedicarsi anima e corpo alla ricerca di recuperare un posto in Champions e provare a portare a casa un trofeo che vinse per l'ultima volta nel 2001 in seguito a quell'epica finale coi baschi dell'Alavés di Vitoria. Il 4-2-3-1, marchio di fabbrica di Don Rafa, si fonda sulla presenza di diversi giocatori di calibro mondiale ad iniziare dal portiere Reina, per continuare col terzino destro Johnson, passare per la coppia di centrali Agger-Carragher e arrivare all'attacco dove sono presenti due fuoriclasse assoluti come Torres e Gerrard e altri ottimi giocatori, tra tutti Kuijt e Banayoun, senza dimenticare il frangiflutti Mascherano. Una rosa polposa e un ambiente da sogno per una sfida d'eccellenza che mette in palio ben 16 titoli tra europei e mondiali, tanti campionati e coppe interne ed un buon numero di finali raggiunte...! Vinca il migliore...!

mercoledì 17 marzo 2010



L'...ANCELOTTI E...GINEVRA: AMORE SPEZZATO.
E AL SORTEGGIO CI VA RE VIRTU'
( UNO DEI MOLTEPLICI AUTOTITOLI ELOGIATIVI...)!




Re Carlo all'ombra di Dio




Carletto l'ha fatta nel letto, e può darsi che il dispetto non sia andato giù al papà Roman, uno molto prodigo a scucire sterline per coronare un sogno di una Coppa Campioni che al Chelsea non hanno mai visto e che la storia dovrebbe riconoscere visto il debito accumulato dagli uomini in maglia blu in tutti questi anni di militanza ai massimi livelli del calcio continentale. Una volta si perde ai rigori in semifinale col Liverpool (2007), un'altra volta si scivola in finale dal dischetto (Terry, 2008), poi c'è l'Ovrebo di turno, insomma la mala sorte non da pace. Di solito il credito accumulato in così tanti anni di episodi, dettagli negativi, situazioni che hanno girato per il verso sbagliato, viene riscosso una volta per tutte, magari proprio grazie un episodio, un'occasione, un soffio di vento che fa cambiare la storia della partita, della competizione e quella tua personale di club sempre all'ombra dei grandi d'Inghilterra e da 12 anni a questa parte gigante con tutti i crismi per regnare grazie ai rubli del papà. Eppure gli episodi, i sibili di libeccio, per esser colti e andare quindi a favor di vento, hanno bisogno di essere assecondati, incoraggiati, stimolati.
Il prode Ancelotti da Reggiolo, chiamato al timone del panfilo battente bandiera russa, ha portato invece l'imbarcazione ad impantanarsi nelle secche orientandosi sulla bussola di un rivale abile a smascherare i limiti caratteriali dell'emiliano e facendone un punto di forza per approdare sul Lago di Ginevra e da lì godersi il panorama che offrirà il parterre delle squadre quarto-finaliste.
Se nella gara d'andata la squadra, la prestazione della stessa aveva nutrito i rimpianti per un arbitraggio monotematico che aveva privato i blues di due chiari penalty e dell'uomo in più, la gara di ritorno non si può giustificare solo con gli ennesimi misfatti arbitrali (due placcaggi in puro stile rugbistico nel primo tempo in area nerazzurra: il primo di T.Motta su Ivanovic ed il secondo di Samuel su Drogba) che pure stanno accompagnando sinistramente e costantemente le campagne europee dei londinesi senza che all'Uefa siano arrivati avvisi di garanzia. Detto che quattro chiari episodi regolamentari contro in 180 minuti sono un macigno davvero gravoso, la gara di Stamford Bridge non si può spiegare solo con la questione fischietto (peraltro un problema irrisolvibile ma alquanto attuale nella sua crudezza in questa stagione europea)
Ancelotti con quella sua faccia da pane e salame, quel comportamento molto british che lo ha fatto entrare da subito nelle grazie dei media e dei tifosi inglesi, con quel suo garbo in panchina ed umore in sala stampa, non ha fatto che rifornire di "carburante" lo squalo che si stava per divorare la barca che lo aveva ospitato e cullato per tre lunghe stagioni. E' buona norma insegnare a rifuggire le provocazioni, evitarle, mostrarsi moralmente superiori ed ignorare coloro che ne fanno buon uso. E' buona norma nella società di tutti i giorni quando le condizioni lo permettono poiché la convivenza forzata non si palesa, perché il semaforo verde scatta per il provocatore e per il superiore ed ognuno prende la sua strada. Sul ring però non si può perché l'avversario è presente, ti cerca, ti sfida con quelle armi, e con te per novanta e passa minuti in quel piccolo rettangolo verde e se tu ti elevi eticamente soccombi, a meno di avere così tante altre qualità da poterti permettere etica ed estetica: cioè io non cado nel tuo tranello perché sono troppo bello, troppo bravo che ce la posso fare anche comportandomi da Signore.
Mourinho sa benissimo di non essere un allenatore (categoria peraltro, a mio modo di vedere inflazionata) o meglio, sa benissimo che oramai di tattica ne masticano persino gli aborigeni australiani e che tra corsi, convegni, pubblicazioni specialistiche e navigazioni sul net spopolano asceti, guru, informazioni e siti che propinano sempre qualcosa di innovativo e i santoni si nascondono anche nella quarta divisione thailandese. Il suo block notes con le formule magiche carica di enfasi ancor più il personaggio e dissimula le vere virtù del portoghese.
Da persona intelligente, e soprattutto furbescamente calatosi nella parte del trainer, sa che le carenze di gioco (strutturali o no, questo è da discutere) della sua squadra vadano arginate con la pressione psicologica da infondere agli avversari (quindi anche arbitri) tramite sottili e studiate provocazioni alternate ad un gioco intimidatorio. Essendo una persona scaltra e un grande conoscitore del mercato internazionale, ha saputo contorniarsi di persone che potessero far decollare il suo piano e portare a termine il lavoro in gare dall'elevato contenuto tecnico in cui gli avversari superiori vanno fronteggiati e annichiliti psicologicamente in assenza di armamenti più efficaci. Meglio di una masnada di sudamericani per portare a compimento l'opera in giro non si trova: Thiago Motta, Lucio, Samuel, Milito hanno assolto al loro compito in tutti e 180 i minuti, con proteste, simulazioni, rotolamenti a terra dopo esser stati colpiti da fulmini: l'episodio del clamoroso fallo da rigore commesso all'andata da Samuel su Kalou che sarebbe valso l'espulsione dell'argentino è esplicativo; la sequenza successiva vede Samuel correre precipitosamente dall'arbitro per chiedere l'ammonizione dell'ivoriano causa evidente raggiro, ovvero un ribaltamento della realtà che non ha trovato opposizione negli scolaretti di Ancelotti. A Stamford Bridge la gara è stata vinta da Mourinho come si fosse su una tavola con un gioco in scatola di tematica psicologica dispiegato sulla stessa e Ancelotti ha prestato ancor più il fianco frustrato dalla paura di dover proteggere l'imberbe Turnbull, l'incubo del pre gara, dagli assalti dei giannizzeri mouriniani e snaturando le caratteristiche tipiche del Chelsea e di ogni squadra inglese che si rispetti: aggressività, ritmo, accelerazioni, intensità, unite alla tecnica e alla classe che le più forti dell'isola di Sua Maestà posseggono in larga dose. Spersonalizzata e privata del britannico "brave spirit", il Chelsea è naufragata anche dal punto di vista di un gioco ingiustificato assente dopo che l'era Hiddink si era chiusa in fanfara e che Ancelotti era stato assoldato per chiudere il cerchio con la vittoria nella coppa più importante del continente attraverso un football che secondo i propositi sarebbe dovuto essere folgorante, scintillante, sfavillante e chi più aggettivi laudativi possiede, più ne metta. Invece il filo intersecato per alcuni momenti in Premier, che per buona parte dell'inverno aveva visto una squadra solida e soprattutto spettacolare, è andato via via ingarbugliandosi sino al triste epilogo di ieri sera.