lunedì 11 ottobre 2010



I DOLORI DEL GIOVANE...WERDER!


La Bundesliga, come gli anseatici, ad un bivio.





Il Werder Brema è l'emblema della Bundesliga, spettacolarità ed austerità, voglia di stupire e limiti di velocità da rispettare. Il club anseatico alla cui guida Schaaf ha raggiunto le dodici stagioni è la chiave che apre tutte le porte del massimo campionato tedesco, facendo comprendere i meccanismi che lo regolano meglio di qualsiasi altro.
Da anni la compagine di Brema oscilla come un pendolo alla ricerca della propria dimensione. Sei partecipazioni alla Champions League nelle ultime sette stagioni, una finale ed una semifinale di Coppa Uefa; in campo tanto spettacolo offerto ai propri tifosi e spesso anche agli avversari di turno, quasi imbarazzati dal poter affondare il coltello nel burro della difesa anseatica con irrisoria facilità.
Il limite del Werder è quello della Bundesliga: divertimento dentro e fuori dal campo ma una squadra tedesca non vince una Coppa Europea dal maggio 2001 e bisogna risalire alla fortunosa vittoria ai rigori del Bayern contro il Valencia in quel di Milano. In Coppa Uefa bisogna retrocedere di un millennio e rammentare lo Schalke campione nel 96-97.
In Germania si segna a grappoli, come in nessuno degli altri quattro grandi campionati d'Europa. La media attuale è di 3.16 gol per match contro i 2.67 dell'Inghilterra, i 2.48 della Spagna, i 2.35 dell'Italia e gli appena 2.29 della Francia, il torneo più tirchio ma anche più tattico d'Europa. Da anni è così, sempre in vetta alle medie realizzative europee, ma questi continui nubifragi di reti non fanno altro che far marcire alla radice la qualità del prodotto tedesco una volta esportato nel mercato europeo di alto livello. Il Werder Brema incarna questa filosofia più di ogni altra, dove alla concretezza, inopportunamente abbinata al calcio quando si parla di Germania ricalcando il pletorico ed anacronistico luogo comune dell'effettività teutonica, viene prediletto il gusto del bello, un po' naif, fine a se stesso, un modo platonico di rappresentazione calcistica.
Gli stadi non sono pieni, sono zeppi, il merchandising e tutto l'aspetto commerciale correlato ad esso vanno a gonfie vele, di pari passo con la vendita dei biglietti. La Bundesliga è al vertice tra i campionati di calcio di tutto il mondo per presenze negli stadi avendo oltrepassato la soglia di 42.500 persone di media per partita contro le 35.000 della Premier inglese, al secondo posto nelle statistiche.
I conti della Bundesliga hanno il semaforo verde e i bilanci delle società sorridono essendo i più sani tra i maggiori campionati dell'Europa benché il peso delle tv sia piuttosto marginale nel ricavi delle 18 squadre nonostante il gettito di soldi derivante dal mercato asiatico ed in particolare dal medio oriente, zona geografica nella quale la Bundesliga suscita notevoli interessi ed è molto popolare. Eppure gli stessi conti non tornano: al tirar delle somme in Bundesliga ci sono 9-10 grandi squadre ma nessuna al top europeo, top che rimane ancora un miraggio. Nessuno che scavalchi la soglia del piacere massimo, quasi una frustrazione al raggiungimento dello zenit.
La Bundesliga ottimizza il rapporto ricavi/stipendi con i secondi decisamente contenuti, ma proprio questo aspetto si va ad intersecare pericolosamente con la capacità di vittorie dei club tedeschi, dando una lettura seppur parziale alla scarsa competitività ad altissimo livello dei club. Se non ci sono tanti zeri negli assegni staccati è probabile che le stelle a "cinque stelle" alberghino da un'altra parte. Non è una regola ma ci si regola anche così.
La Bundesliga attrae sponsor nazionali ed esteri ma non è la calamita che rappresenta la Premier League inglese e nemmeno il fascino del calcio bailado della Liga dei campioni del mondo e dei mostri sacri Barcellona e Real Madrid.
E' ancora in fase di studio, si trova in mezzo al guado, tra l'apice dello splendore inglese, al quale non avrebbe nulla da invidiare per passione e spettacolo, e la pericolosa recessione della Serie A, che ha già facilmente scavalcato a livello di competitività e ranking Uefa, ma non compiutamente nella mente degli sportivi di tutto il mondo e di diversi disattenti addetti ai lavori. C'è bisogno del definitivo salto di qualità che riporti ai fasti di metà- fine anni settanta nei quali si registravano persino en plein di squadre dell'allora Germania Ovest nelle semifinali della Coppa Uefa (stagione 1979-80).
C'è stato il momento della Bundesliga, poi si passò alla Serie A con il tentativo di inserimento della Ligue 1 a metà anni ottanta, fallito come lo sfarzoso progetto del Matra Racing, Serie A poi lentamente decaduta e soppiantata dall'incessante avanzata della Liga spagnola che, dalla metà del nuovo millennio ha lasciato le redini del calcio europeo nelle mani degli inventori inglesi.
La Bundesliga, in luna crescente è lo specchio fedele di una restaurazione che fatica ad imporsi. Ci sarebbero denti e pane ma evidentemente la macchina tedesca stenta a mettersi a pieno regime e anzi accusa qualche colpo a vuoto nelle leggi internazionali non scritte del calcio mercato. Recuperiamo proprio il Werder, citato e lasciato poi da parte. Non si intuisce il gran mondiale che disputerà la nazionale e allo stesso tempo il gioiellino di casa Ozil, non gli si rinnova il contratto per tempo, e quando le sirene spagnole iniziano a farsi sentire, Allofs, il general manager, deve cedere senza tentennamenti il calciatore e senza avere voce in capitolo sul prezzo, anzi deve ritenersi soddisfatto per aver incassato una quindicina di milioni di euro. Lo stesso accadeva qualche giorno prima allo Stoccarda con Sami Khedira mentre la Bundesliga, come un qualsiasi campionato geriatrico del Medio oriente dove svernano i "cannavari", acquisiva Raul!

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