lunedì 18 ottobre 2010


SOTTO IL SEGNO DEL CANE




Come nelle ultime cinque occasioni, i "cani" biancorossi si aggiudicano il "marele derby" lasciando la "stella" ancora senza luce.




Un odio da morire, o da ferire, magari riducendo in fin di vita, ma almeno bisogna giocarsela. Due volte l'anno si deve dimostrare che il derby eterno, il gran derby, alcune delle definizioni attribuite nel tempo e dal tempo, si gioca e si vince fuori e il campo di battaglia esterno è l'unico unanimemente riconosciuto dalle due tifoserie. Eh sì, perché col Rapid non c'è lo stesso fuoco che arde le passioni: sempre tensioni e botte, pressioni e lotte ma vuoi mettere i "Cani" con le Pecore"?
I cani, il simbolo della Dinamo, ex Ministero dell'Interno, contro le pecore di Becali, che da quando ha assunto la padronanza del club ha marchiato definitivamente la Steaua con tale soprannome (Becali prima di lanciarsi negli affari, nella finanza e nella politica, dopo gli avvenimenti del 1989, era un pastore a capo di un folto gregge di pecore...). E benché cani e pecore in simbiosi si muovono nel gregge, pare che questa alleanza animale ai tifosi non vada giù e solo trasformandosi anch'essi in animali, nell'accezione più feroce del termine, in una sorta di licantropia pallonara, possono giocarsi il loro derby a colpi di bottigliate, sedie, calci, pugni e tutto l'armamentario previsto per le grandi occasioni.
Per tradizione la partita più importante della Romania, ma i tempi passano, gli anni corrono e scavalcano le gerarchie comuniste consolidate nel tempo dai ministeri della capitale a capo dei due club. La nouvelle vague dell'Ardeal (Transilvania), oltre ad aver portato aria fresca nel calcio romeno grazie soprattutto al vincente CFR Cluj, (ma anche al Fc Timisoara, che dispone oramai della tifoseria più calda e presente all'interno degli stadi di tutto il paese), ha visto incrementare, oltre alla competitività, il numero di seguaci e le rivalità cittadine o zonali. Così la violenza fa capolinea a Cluj, nel derby recentemente incendiatosi in seguito alla scalata ai vertici del calcio nazionale del CFR a spese della storica Universitatea Cluj, per tutti la "U", nome vintage del panorama carpatico. Le risse appaiaono costantemente nel duello tra Timisoara ed Arad quando la tifoseria "viola" dei timisoreni combatte contro i biancorossi dell'UTA Arad (quando questi sono in Divizia A) in un duello che divide due città a 50 chilometri di distanza ma ravvicinate dall'astio e dal disprezzo reciproco.
In questo contesto antagonistico spinto all'estremo, la temperatura del classico Steaua-Dinamo viene tenuta alta dalla stampa sportiva e dalle innumerevoli emissioni sportive che dalla tv rilanciano dichiarazioni di intenti belligeranti tra le parti, che il tempo non sopisce ma rinvigorisce nonostante il livello tecnico sia inversamente proporzionale alla scenografia previamente allestita ad arte, quasi a dissimulare le carenze sostanziali dello show.
Tutto codesto preambolo per testimoniare che anche domenica si è vissuta una giornata di ordinaria follia con le vie presidiate da battaglioni di gendarmi, il bus della Steaua presso a pietrate durante il tragitto che conduceva allo stadio e, fatto ancor più cruento, un ragazzo percosso a più non posso dentro un fast-food dove negligentemente si era introdotto e, una volta all'interno, scambiato per uno "spion stelist" che si sarebbe intrufolato in quel covo di dinamovisti per carpire gli ultimi segreti della preparazione coreografico-pirotecnica del match da parte degli ultras biancorossi trafugando idee. Lasciato in una pozza di sangue e trasportato con urgenza all'ospedale, da accertamenti successivi si è venuto a sapere che era il bodyguard della moglie del padrone del tabloid scandalistico "Cancan"...
La partita è quindi strumentale, e l'aspetto tecnico è abilmente nascosto da tv e giornali specializzati, che pompano l'evento settimane prima ben sapendo che poi la montagna partorirà un topolino e gli stessi tifosi che si scatenano nelle coreografie più originali perdono, mano a mano che la gara avanza, decibel nel tifo abbandonando languidamente la gara a se stessa.
La gara per l' appunto!
Le squadre adottano un modulo speculare (4-2-3-1) benchè nelle schermaglie tecnico-tattiche si legga di tutto e di più, a testimonianza che spesso il gioco sui numeri è piuttosto fine a se stesso e fine ad un'aristocrazia giornalistico-calciofilo-tecnico-paranoica che non mi seduce più: dalle lavagne dei professori alle disquisizioni fisico-nucleari su formule innovative che addolciscono la frustrazione di ognuno di noi che è convinto di manovrare Messi con il gessetto e far dribblare Modric grazie al movimento concentrico ottenuto dalla proiezione ortogonale di Huddlestone e Palacios. Tutti si riempiono la bocca nel gioco del nuovo millennio, quello dell'allenatore...nel pallone...!
Nel pallone infatti ci finisco io, visto che nel corso della gara i moduli cambiati sono almeno una quindicina per parte e del 4-2-3-1 c'è traccia solo su un foglietto zuppo d'acqua galleggiante nel Mare di Barents in attesa che qualche balena se lo inghiotta per espellerlo modificato e corretto in un 5-5-5 di astrazione postmoderna.
La Dinamo schiera il redivivo Dolha tra i pali, il carneade spagnolo Rubio (uno che non conoscono nemmeno nella penisola iberica) sulla destra, l'argentino Garat e l'ex senese Moti al centro, l'ex Steaua Bordeanu, (recente acquisizione dall'Unirea Urziceni che con la maglia della Steaua ha disputato ben tre derby), a presidiare la corsia sinistra. In mezzo, il presupposto duetto di mediani si comporrebbe di Margaritescu e del senegalese N'Doye, i tre dietro la punta sono, da destra a sinistra, Torje, Adrian Cristea ed Alexe. La punta è il vecchio lungagnone ex Inverness Marius Niculae, un combattente reduce dal Vietnam vissuto in casa propria visto la dura educazione impartitagli dal padre-padrone.
La Steaua risponde con Tatarusanu in porta, il brasiliano Eder Bonfim a destra, il pupillo del presidente Becali cioè Gardos e il portobrasiliano Geraldo Alves nella cerniera centrale, il guizzante Latovlevici a sinistra che non è altro che il giocatore più utilizzato in questo scorcio iniziale di stagione. I due in mezzo sono il brasiliano Ricardo Gomes ed Apostol (entrambi reduci dall'esperienza comune all'Urziceni) sopravanzati dal terzetto Nicolita, Bogdan Stancu (il capocannoniere di questa stagione) e Tanase, propedeutici all'azione offensiva dell'unico grimaldello offensivo, vale a dire Bilasco che è preferito al greco Kapetanos, ancora punito per lo scempio contro il Napoli in Coppa Uefa.
N'Doye non sta mai in linea con Margaritescu, è sempre più avanti di cinque metri, quindi il 4-2-3-1 è già un 4-1-4-1 dal primo minuto con buona pace del Sudoku. E' anche il più gasato, come sempre, facendosi pizzicare in pochi minuti dall'arbitro e rischiando più volte il doppio giallo per la sua foga inconfondibile che lo rende l'idolo della "peluza dinamovista" come delle discoteche e dei night club dell'intera Bucarest, dove sfoggia il meglio della Savana che si porta dentro, ad iniziare dal look.
Dal ritorno di Marius Niculae alla casa madre la Dinamo non ha mai perso, mentre l'ultima vittoria delle "pecore" risale al lontano agosto 2004 con un gol di Andrei Cristea (ora alla Dinamo) in chiaro fuorigioco e nel finale di gara.
Latovlevici è un pendolino, ma dalla sua parte le correnti d'aria rendono il mare molto mosso in virtù del fatto che Torje batte bandiera liberiana e scappa come un'anguilla, rapidissimo, non si lascia certo pregare nel tagliare fette la fascia sinistra difensiva della Steaua. Il gioco è comunque rossoblu e dopo un cambio posto per posto per infortunio (Garat fuori, Scarlatache dentro per la Dinamo) ed un possibile penalty per la Dinamo (altra ingenuità difensiva di Latovlevici) la Steaua passa con Bogdan Stancu che inforca il suo ottavo gol intervenendo su un radente potente e preciso dalla destra del ficcante Bonfim e trasformandolo in un tape.in. Pochi minuti e la difesa di Lacatus balla ancora concedendo un penalty per un ingenuo fallo di mani di Apostol susseguente ad un angolo. Batte "Printul" Cristea (il principe, eroe dei tabloid scandalistici laddove ogni volta battezza una ragazza diversa) ed è ristabilità la parità. 1-1 risultato tipico di questo derby, fortunoso per la Dinamo per quanto dimostrato. Nemmeno due minuti dopo un'altra voragine sulla sinistra da parte di Latovlevici, Torje gli parte alle spalle aggirando anche il fuorigioco ed ecco che Tatarusanu interviene rovinosamente sul minuscolo attaccante esterno biancorosso causando un rigore solare. Questa volta della battuta si incarica Niculae, ma cambiando i fattori il prodotto non cambia: Tatarusanu da una parte, palla dall'altra. Il tempo si chiude con un paio di incursioni rossoblu ma si va all'intervallo con la sensazione che le ali della Dinamo possano sfasciare l'impianto difensivo della formazione guidata dalla "fiara" (bestia) Lacatus con troppa facilità. Alexe da una parte e Torje dall'altra sono velocissimi ed imprendibili anche perché sulle uscite in campo aperto dei due terzini rossoblu Latovlevici e Bonfim, a seguito di ripartenze biancorosse le sincronie nelle diagonali dei due centrali sono imperfette e la protezione dei mediani nello scalare scarsa. Eppure in panchina ci sono un centrale esperto quale Galamaz e un terzino sinistro capace di fare le due fasi come l'argentino Brandan, ex Unirea Urziceni: entrambi avrebbero potuto rispondere meglio alle esigenze della squadra in questa gara.
Scontri fuori, giornali eccitati ma il tifo, abbandonate le coreografie di inizio gara, resta modesto a livello di appoggio canoro nonostante il punteggio sorrida ai padroni di casa. Si va così al secondo tempo con la funerea sensazione che Bucarest stia diventando sempre più oramai la periferia del calcio romeno ed il cimitero del calcio.
Girandola di cambi dopo il primo quarto d'ora (Brandan per Latovlevici in casa Steaua e l'ivoriano Djakaridja Koné per N'Doye per la Dinamo. Cambi posto per posto). La gara perde ancor più di fascino mentre la Dinamo scompare dal gioco, subendo un monologo della Steaua. Biancorossi spesso assediati nel classico fortino eretto dalla squadre romene negli ultimi scampoli di gara, sia che si tratti d'Europa (qualche giustificazione è evidente) che del campionato interno, dove l'abuso di sceneggiate e pantomime per recuperare ossigeno e far scorrere il cronometro è un metodo costante e tollerato anche dalla classe arbitrale per favorire lo spettacolo già distribuito in dosi massicce sul terreno di gioco.
Il risultato non cambia, il derby neppure, del "marele (il grande) derby rimane lo scolorito ricordo delle fotografie in bianco e nero dei tempi andati...! Alla prossima edizione...






lunedì 11 ottobre 2010



I DOLORI DEL GIOVANE...WERDER!


La Bundesliga, come gli anseatici, ad un bivio.





Il Werder Brema è l'emblema della Bundesliga, spettacolarità ed austerità, voglia di stupire e limiti di velocità da rispettare. Il club anseatico alla cui guida Schaaf ha raggiunto le dodici stagioni è la chiave che apre tutte le porte del massimo campionato tedesco, facendo comprendere i meccanismi che lo regolano meglio di qualsiasi altro.
Da anni la compagine di Brema oscilla come un pendolo alla ricerca della propria dimensione. Sei partecipazioni alla Champions League nelle ultime sette stagioni, una finale ed una semifinale di Coppa Uefa; in campo tanto spettacolo offerto ai propri tifosi e spesso anche agli avversari di turno, quasi imbarazzati dal poter affondare il coltello nel burro della difesa anseatica con irrisoria facilità.
Il limite del Werder è quello della Bundesliga: divertimento dentro e fuori dal campo ma una squadra tedesca non vince una Coppa Europea dal maggio 2001 e bisogna risalire alla fortunosa vittoria ai rigori del Bayern contro il Valencia in quel di Milano. In Coppa Uefa bisogna retrocedere di un millennio e rammentare lo Schalke campione nel 96-97.
In Germania si segna a grappoli, come in nessuno degli altri quattro grandi campionati d'Europa. La media attuale è di 3.16 gol per match contro i 2.67 dell'Inghilterra, i 2.48 della Spagna, i 2.35 dell'Italia e gli appena 2.29 della Francia, il torneo più tirchio ma anche più tattico d'Europa. Da anni è così, sempre in vetta alle medie realizzative europee, ma questi continui nubifragi di reti non fanno altro che far marcire alla radice la qualità del prodotto tedesco una volta esportato nel mercato europeo di alto livello. Il Werder Brema incarna questa filosofia più di ogni altra, dove alla concretezza, inopportunamente abbinata al calcio quando si parla di Germania ricalcando il pletorico ed anacronistico luogo comune dell'effettività teutonica, viene prediletto il gusto del bello, un po' naif, fine a se stesso, un modo platonico di rappresentazione calcistica.
Gli stadi non sono pieni, sono zeppi, il merchandising e tutto l'aspetto commerciale correlato ad esso vanno a gonfie vele, di pari passo con la vendita dei biglietti. La Bundesliga è al vertice tra i campionati di calcio di tutto il mondo per presenze negli stadi avendo oltrepassato la soglia di 42.500 persone di media per partita contro le 35.000 della Premier inglese, al secondo posto nelle statistiche.
I conti della Bundesliga hanno il semaforo verde e i bilanci delle società sorridono essendo i più sani tra i maggiori campionati dell'Europa benché il peso delle tv sia piuttosto marginale nel ricavi delle 18 squadre nonostante il gettito di soldi derivante dal mercato asiatico ed in particolare dal medio oriente, zona geografica nella quale la Bundesliga suscita notevoli interessi ed è molto popolare. Eppure gli stessi conti non tornano: al tirar delle somme in Bundesliga ci sono 9-10 grandi squadre ma nessuna al top europeo, top che rimane ancora un miraggio. Nessuno che scavalchi la soglia del piacere massimo, quasi una frustrazione al raggiungimento dello zenit.
La Bundesliga ottimizza il rapporto ricavi/stipendi con i secondi decisamente contenuti, ma proprio questo aspetto si va ad intersecare pericolosamente con la capacità di vittorie dei club tedeschi, dando una lettura seppur parziale alla scarsa competitività ad altissimo livello dei club. Se non ci sono tanti zeri negli assegni staccati è probabile che le stelle a "cinque stelle" alberghino da un'altra parte. Non è una regola ma ci si regola anche così.
La Bundesliga attrae sponsor nazionali ed esteri ma non è la calamita che rappresenta la Premier League inglese e nemmeno il fascino del calcio bailado della Liga dei campioni del mondo e dei mostri sacri Barcellona e Real Madrid.
E' ancora in fase di studio, si trova in mezzo al guado, tra l'apice dello splendore inglese, al quale non avrebbe nulla da invidiare per passione e spettacolo, e la pericolosa recessione della Serie A, che ha già facilmente scavalcato a livello di competitività e ranking Uefa, ma non compiutamente nella mente degli sportivi di tutto il mondo e di diversi disattenti addetti ai lavori. C'è bisogno del definitivo salto di qualità che riporti ai fasti di metà- fine anni settanta nei quali si registravano persino en plein di squadre dell'allora Germania Ovest nelle semifinali della Coppa Uefa (stagione 1979-80).
C'è stato il momento della Bundesliga, poi si passò alla Serie A con il tentativo di inserimento della Ligue 1 a metà anni ottanta, fallito come lo sfarzoso progetto del Matra Racing, Serie A poi lentamente decaduta e soppiantata dall'incessante avanzata della Liga spagnola che, dalla metà del nuovo millennio ha lasciato le redini del calcio europeo nelle mani degli inventori inglesi.
La Bundesliga, in luna crescente è lo specchio fedele di una restaurazione che fatica ad imporsi. Ci sarebbero denti e pane ma evidentemente la macchina tedesca stenta a mettersi a pieno regime e anzi accusa qualche colpo a vuoto nelle leggi internazionali non scritte del calcio mercato. Recuperiamo proprio il Werder, citato e lasciato poi da parte. Non si intuisce il gran mondiale che disputerà la nazionale e allo stesso tempo il gioiellino di casa Ozil, non gli si rinnova il contratto per tempo, e quando le sirene spagnole iniziano a farsi sentire, Allofs, il general manager, deve cedere senza tentennamenti il calciatore e senza avere voce in capitolo sul prezzo, anzi deve ritenersi soddisfatto per aver incassato una quindicina di milioni di euro. Lo stesso accadeva qualche giorno prima allo Stoccarda con Sami Khedira mentre la Bundesliga, come un qualsiasi campionato geriatrico del Medio oriente dove svernano i "cannavari", acquisiva Raul!