giovedì 28 giugno 2012
EUROPA...URA!!!
Germania ed Italia di nuovo ad incrociare le spade, quali i possibili scenari per la gara di giovedì unendo il filo del passato al presente per riscrivere un futuro diverso. Proveremo ad analizzare tutti i vari aspetti che precedono la semifinale considerando i punti a favore dell'una e dell'altra nazionale.
La storia è un macigno, difficile non prendere in esame l'aspetto che maggiormente atterrisce il popolo calcistico teutonico e tutti gli attori, direttamente o indirettamente impegnati ad esorcizzarla. Tralasciando le amichevoli, nelle sei gare ufficiali fin qui disputate i numeri recitano impietosamente un verdetto unanime: lo "stivale" non calza affatto comodo ai tedeschi.
Dalla celeberrima semifinale di Messico 1970 (la cosiddetta "partita del secolo") alla recente semifinale casalinga del 2006 in mezzo ci sono altre quattro sfide ufficiali nelle quali mai i tedeschi hanno prevalso. Se nel 1978 nel mundial argentino il pareggio di fatto elimina entrambe dalla finalissima, nel 1982 i vari Rummenigge, Littbarski, Breitner, Schumacher osservano alzare la coppa al cielo terso di Madrid un'Italia più volte miracolata durante il torneo; sei anni dopo, nell'europeo giocato proprio a casa loro, l' 1-1 sancirà il passaggio di entrambe alle semifinali dalle quali saranno poi estromesse e nel 1996 il pari contro una Germania già qualificata rimanda a casa gli azzurri.
La cabala non potrà non avere il proprio peso, nelle menti e nelle coscienze tedesche, così come nel seguito di esperti ed appassionati. Però i fantasmi che si celano nelle anime calcistiche germaniche profondamente scosse e traumatizzate da decenni di infauste campagne, dovranno essere affrontati e aggrappandosi alla legge dei grandi numeri la storia potrebbe anche cambiare il corse delle cose.
Mai come in questo caso la forbice calcistica tra i due paesi è così ampia ed obbliga a cavalcare l'onda che porta verso Berlino.
Impostando il ragionamento sull'aspetto prettamente tecnico, va sottolineato che lo scarto attuale è piuttosto ampio.
La Germania calcistica, dalle macerie post europei 2000 e 2004 (con l' inattesa finale mondiale 2002 giunta quasi per caso) ha saputo cambiare rotta in maniera radicale ed a 360 gradi, abbandonando la vecchia strada ("vecchia" in tutti i sensi possibili ed immaginabili...) rinnovando completamente il proprio sistema di fare calcio ad iniziare dalle basi.
Negli anni a venire sono giunti a ripetizione risultati concernenti le rappresentative giovanili.
Quarto posto agli europei under 17 del 2006, oro a quelli del 2009, finali perse entrambe con l'Olanda nelle ultime due edizioni (2011 e 2012, quest'ultima persa ai rigori).
Agli europei under 19, dopo la finale persa nel 2002 contro la Spagna, è arrivato il titolo nel 2008 proprio contro l'Italia mentre nell'edizione precedente la Germania aveva chiuso al terzo posto, come nel 2005. L'annata seguente, la rappresentativa under 21 suggellava lo splendido momento del calcio tedesco con il successo negli europei under 21 disputati in Svezia a seguito di un perentorio 4-0 nella finale con l'Inghilterra.
Nel 2007 e nel 2011 i giovani tedeschi si accaparravano il bronzo ai mondiali under 17.
Un'esplosione di talento tedesco mescolato al buon sapore etnico dei tanti figli della nuova Germania per una messe di risultati di primo piano a livello internazionale.
La nazionale maggiore rispondeva a suo modo, e pur senza l'acuto del successo, si issava al terzo posto mondiale nel 2006 seguito dalla finale europea del 2008 e bissando il podio mondiale in Sudafrica.
L'Italia contrappone due soli terzi posti agli europei under 17 (2005 e 2009), un titolo ed un secondo posto (rispettivamente nel 2003 e nel 2008) agli europei under 19, contraddistinguendosi per le ripetute assenze nelle fasi finali ad 8 ed il quasi deserto a livello mondiale (under 17 e 20). Anche ai campionati europei under 21 terreno privilegiato di caccia proprio della federazione italiana l'ultimo successo risale al 2004 . L'enorme importanza data a questa manifestazione dalla FIGC, che ha sempre impiegato così tante risorse mentre gli altri grandi paesi europei riservavano gli sforzi alle nazionali senior (visto lo spartiacque dell'età, un confine tra calcio giovanile e calcio dei grandi) è anche una spiegazione alle vittorie a ripetizione che hanno caratterizzato l'ultimo decennio del secolo.
A livello di selezione nazionale maggiore l'Italia sfodera il titolo del 2006, un' uscita onesta ai rigori a corollario di un europeo incolore nel 2008 e la catastrofica partecipazione al mondiale 2010, occasione nella quale ha pagato con gli interessi il fortunoso percorso del mondiale precedente, vinto attraverso un calendario in discesa sino alle semifinali (mentre gli altri si scornavano), qualche benevolenza arbitrale e partendo da una posizione di outsider. Alle ragioni numeriche menzionate per giustificare l'andamento asimmetrico dei due movimenti vanno addizionate le prestazioni dei clubs che, solo restando ai vertici delle competizioni continentali registrano la presenza di una compagine, il Bayern Monaco, doppia finalista (ahimè perdente, ma pur sempre finalista) nel breve spazio delle ultime 3 stagioni della Champions League la quale fornisce alla Mannschaft ben 8 elementi sui 23 convocati di cui 7 titolari e l'ottavo (Kroos) risulta essere uno dei principali subentranti.
La vittoria nerazzurra dell'edizione 2010 portava con se la matrice internazionale in tutti gli elementi titolari e nelle prime riserve e bisogna ridiscendere al 2007 ed alla vittoria del Milan per ritrovare un'impronta italiana nel successo. Dei 7 titolari nella sfida di Atene contro il Liverpool, il solo Pirlo è ancora un pezzo base della nazionale allenata da Prandelli.
Giocatori di alto/altissimo livello (i tedeschi), in numero elevato, abituati ad annate vissute sempre da protagonisti nei palcoscenici europei e mondiali ai quali manca il coronamento di un successo di prestigio. E' certo che questo fattore potrebbe rappresentare un grande limite, proprio nello svolgimento di un'altra partita decisiva in una fase determinante della competizione, l'ennesima partita decisiva a cento metri dal traguardo, metà che per i "kickers" tedeschi di quest'ultima generazione sembra non arrivare mai.
Se allarghiamo lo sguardo e non lo focalizziamo sul solo aspetto tecnico e storico relativo alle due nazionali, il divario tra i due paesi aumenta. La Bundesliga è in una fase di boom totale. Tutti i suoi valori hanno segno più. Media spettatori più elevata al mondo con 45.134 persone per match di media stacca nettamente la Premier League inglese (35.283), la Liga (30.275). La serie A ne ha poco più della metà con una media di 24.031 superata anche dalla prima divisione messicana.
Gli stadi, anche in virtù del mondiale casalingo, oltre ad essere colmi, sono perfetti: accoglienti, dotati di tutti i comfort, sicuri, innovativi, con manti erbosi impeccabili e gli ultimi rimasti con la pista di atletica attorno al rettangolo verde di gioco (Brema, Stoccarda) sono stati rimaneggiati negli ultimi due anni eliminando le corsie e rendendo la visibilità della gara un piacere. Escludendo il Frankenstadium di Norimberga gli altri 17 clubs della Bundesliga sono privi di quell'inutile asettico spazio tra i tifosi ed i protagonisti dell'evento.
L'organizzazione delle squadre è di prim'ordine. Acquisti ponderati e moderati, quando si può, quando le casse lo concedono, si spinge sull'acceleratore e ci si serve il dessert; ma i conti sono quelli più in ordine dell'Europa calcistica. Nonostante questo far quadrare il bilancio, la Bundesliga (con aiuti dalla Zweite Bundesliga) ha convogliato ben 45 interpreti dei 368 ai nastri di partenza di quest'europeo. Meno della dominante Premier League inglese (77: ma anche in questo caso la Championship ha dato il proprio contributo) ma più della Spagna (34) e dell'Italia (31). Ciò a dimostrazione dell'assoluto valore del torneo e della qualità medio-alta della stragrande maggioranza delle sue 18 partecipanti come altresì dimostrato dal sorpasso in termini di ranking uefa ai danni proprio del campionato italiano attestato anche dalla maggiore competitività delle proprie squadre nell'Europa League (quest'anno quarti di finale raggiunti sia dall' Hannover sia dallo Schalke 04).
Concentrandoci invece meramente sull'aspetto tattico della gara è innegabile che lo stesso possa determinare in un senso o nell'altro la riuscita dell'incontro.
La Germania, che adotta un 4-2-3-1 molto inflazionato negli ultimi anni, ha una formazione pressoché stabile da inizio manifestazione. Neuer indiscutibile, Boateng a destra, Lahm spostato a sinistra, Hummels ha scalzato Mertesacker come centrale di destra mentre Badstuber sta al suo fianco, Khedira e Schweinsteiger i volanti, Oezil a muoversi dietro Gomez con Mueller a destra e Podolski nella corsia sinistra.
Difficilmente Loew si affiderà a cambi dell'ultim'ora, improbabile ripeta gli esperimenti non troppo positivi effettuati con la Grecia. L'avversario non glielo permetterà. Non andrà a snaturare i movimenti offensivi proprio in una gara difficile, decisiva, contro il rivale storicamente più ostico. Nonostante tutto il talento di cui dispongono, Reus (a tratti devastante per verticalità e tecnica di base istintivamente naturale) e Schuerrle verranno accantonati, solo qualche lieve margine di speranza per Klose al posto di Gomez. Difficile che Lars Bender prenda il posto di Boateng come fece contro i danesi.
Il pallino della gara sarà tedesco, è indubbio che per gran parte della gara sarà così, all'inizio ancor più probabile, ma l'avanzamento delle linee sarà meno accentuato rispetto alle gare con Danimarca e Grecia in cui c'è stato un totale dominio del gioco quasi ininterrotto con una massiccia occupazione dello spazio offensivo. L'eventualità di andare sotto nel punteggio terrorizzerà Loew, non è la prima volta che, stoicamente, le maglie azzurre hanno portato a casa risultati sotto assedio. E' una tipicità del movimento italico, dai club trasposta alle nazionali e viceversa. L'Italia cederà logicamente il timone ma non avrà la pessima fase difensiva messa in atto dagli ellenici peraltro troppo arroccati negli ultimi 20 metri di campo. Molto dipenderà dalla pressione che saranno in grado di esercitare i ragazzi di Loew nei primi 20-25 minuti dell'incontro. Potrebbe essere uno degli aspetti chiave del match. Sotto pressione i quattro (se così giocherà l'Italia) dietro rimarranno soffocati ed oltre al rischio di incomprensioni ed errori individuali (peraltro possibili per gente dalla poca dimestichezza ad alti livelli internazionali come il poker Abate, Bonucci, Barzagli, Balzaretti), tutta la struttura potrebbe vacillare. Senza possibilità di ripartenze e senza respiro, 20 giri di lancetta potrebbero bastare per indirizzare la gara a favore tedesco.
Il giocatore determinante in questo senso sarà Oezil. Il ragazzo nato e cresciuto in Germania da genitori turchi, oltre ad essere il calciatore di maggior talento, è anche quello determinante per i movimenti offensivi. E' presumibile che la sua posizione oscillante tra quella di rifinitore in appoggio a Gomez ed esterno destro a creare un duetto micidiale con Mueller, ovvero a cangiare la posizione col medesimo, sarà alla lunga la zona di maggior sofferenza per l'Italia. Balzaretti potrebbe presto essere in balia di mareggiate, gli aiuti in ripiegamento di De Rossi spopoleranno il centrocampo, Barzagli (ci sarà lui?) risucchiato fuori per raddoppiare con la conseguenza di lasciare Mario Gomez agire con più spazi, con i tagli di Podolski da contrastare e le avanzate di Khedira e Schweinsteiger (sempre che recuperi dal dolore alla caviglia), incursori di primo livello, ottimi in conduzione come in transizione attiva, bravi nella seconda giocata, da arginare.
Messa così sembra un quadro della situazione che definir nero è eufemistico; se alla fase difensiva non si contrapporrà una fase offensiva di rilievo la partita è chiaramente persa dagli italiani, a meno di episodi estremamente fortunosi (anch'essi avranno però un limite).
Se inoltre Gomez non avrà bisogno di rodaggio per trovare la porta da temporale si passerà ben presto a tempesta.
Invece qualche carta da giocare l'Italia ce l'ha, soprattutto per il fatto che riconoscerà la supremazia tecnica dei tedeschi senza rinunciare a priori a giocare. Le barricate non fanno parte di questa spedizione, non servirebbero ad uscire indenni contro potenza fisica e l'abilità tecnica teutonica.
Passata senza danni l'eventuale fase di pressione tedesca, una questione di 20-30 minuti (sulla carta), i ragazzi di Loew potrebbero scomporsi, perdere distanze e concentrazione, l'idea di non farcela potrebbe insinuarsi nelle menti di giocatori dalla media d'età bassa. A quel punto diverrebbe la gara dell'Italia, maestra nel controgioco e abile a scavare nei meandri psicologici di un match delicato vista la posta in palio. Figure come Pirlo e De Rossi potrebbero prendere il sopravvento, la Germania non ha mai dato garanzia di solidità né di continuità nelle quattro gare precedenti, qualche nube è sempre comparsa, dalla prima gara contro il Portogallo, proseguendo con la vittoria contro l'Olanda, al secondo tempo sterile e vissuto pericolosamente contro la Danimarca fino alla vittoria contro la Grecia, che, nonostante ampiamente dominata ha saputo arrivare al pari mettendo in evidenza crepe del sistema difensivo, qualitativamente composto da elementi di ottima fattura (ricambi compresi) ma talune volte vacillante nella struttura e nei movimenti d'insieme.
Giocherà un ruolo fondamentale l'aspetto psicologico. Già detto del passato, ma la partita è oggi. La classe dei tedeschi è il loro atout ma la classe dei tedeschi è il loro limite. Classe evidente in gran parte di loro ma limiti di classe a livello anagrafico: su 23 convocati, 14 di loro sono dall'88 a salire, ben 4 sono attualmente in età di under 21, 7 di essi hanno vinto l'europeo under 21 dell'edizione 2009 sconfiggendo in semifinale proprio l'Italia. Poco più che adolescenti quindi, sebbene nella formazione iniziale peseranno e molto i senatori quali Schweinsteiger, i Lahm, i Podolski, i Gomez, forse i Klose.
La Germania arriva a questo punto senza mai aver temuto di uscire, vincendo sempre ma convincendo a pieno quasi mai. Non un percorso in scioltezza: nel girone (affatto comodo) tutte vittorie di misura, con il mal di pancia del secondo tempo contro la Danimarca nel quale un gol avversario avrebbe significato estromissione in virtù della combinazione del risultato con l'altra partita.
L'Italia ha vissuto una situazione di perenne agitazione. Se prima dell'evento gli scandali risaputi hanno sferzato la serenità del gruppo, la fase a gironi ha risollevato il morale. Un pareggio meritato con la favorita Spagna, un risultato identico contro l'eccellente Croazia di Bilic, una gara in sofferenza contro l'Eire prima del batticuore finale nella roulette dei rigori contro l'Inghilterra. Sempre sul bordo, senza mai cadere a dimostrazione di forza morale ed attributi. Senza dimenticare che Spagna e Croazia hanno deciso in positivo la sorte degli azzurri di Prandelli evitando combine millantate peraltro solo nel "Bel Paese". Per loro questo è un punto d'arrivo, non hanno nulla da perdere, per la Germania è il punto di partenza per coronare con una vittoria all'europeo gli sforzi di una generazione di assoluto talento. L'Italia ha fatto il più, pochi la attendevano nel poker finale, con l'Inghilterra i ruoli erano invertiti con gli inglesi malconci e depauperati dai tanti infortuni e da alcune cervellotiche scelte nelle convocazioni. All'Italia ha sempre calzato alla perfezione il ruolo di outsider, si ci ritrova a meraviglia, ha costruito tutte le più grandi imprese.
Fisicamente la Germania è un blocco in moto perpetuo, l'età e la preparazione voluta da Loew fanno pendere l'ago della bilancia a favore loro. Avranno anche 48 ore in più di riposo, aspetto da non sottovalutare come si è potuto vedere nella semifinale di ieri, ma la banda capeggiata da Prandelli in questo scorcio di Europeo ha sempre evidenziato una buona tenuta sorprendendo con la Spagna al debutto ed ancor più con un'Inghilterra peraltro piuttosto svuotata d'energie per via di una stagione lunga, interminabile e ricca d'impegni per i giocatori dei "Tre Leoni".
Non saranno i cento metri finali prima del traguardo ad impedire un ulteriore penultimo sforzo a Pirlo e compagnia. La Germania non potrà contare su un'Italia remissiva da questo punto di vista. La mente dei giocatori italiani è allenata per scovare energie anche dove il fisico non risponderà, ma è evidente che gioventù, maggior riposo e caratteristica (prestanza) fisica dei calciatori potrebbero avere un peso specifico importante.
Non si può concludere non citando anche aspetti esoterici. Il calcioscommesse ha già prodotto il risultato di arricchire la bacheca della Federazione con due mondiali (82-06), i tedeschi sanno tutto ciò: resta da vedere se i bianchi, che non vincono mai contro l'Italia dei grandi, saranno scaramantici come i pronipoti di Dante.
Buona partita a tutti!
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Europei 2012
lunedì 21 maggio 2012
NEUER DI SERA...
LA COPPA E' CHIMERA...!
UN FINALE GIA' SCRITTO...!
L'incredibilmente fortunosa cavalcata del Chelsea verso la finale di Monaco, dagli ottavi di finale contro un Napoli sprecone, ai quarti con un Benfica che avrebbe meritato ampiamente il titolo di corsaro, alla "Resistenza" blues nel doppio confronto coi marziani catalani, non poteva che avere un epilogo che stando alle combinazioni astrali era già ampiamente scritto in calce e marchiato ben oltre l'incisione del proprio nome realizzata dai dirigenti Uefa al termine dei rigori dell'Allianz Arena.
Di seguito ne scriveremo le ragioni esoteriche.
1. L'ultima finale di Coppa dei Campioni arbitrata da un portoghese (1980) fu vinta da una compagine inglese (Nottingham Forest) contro una tedesca (Amburgo).
2. Tutte le finali giocate a Monaco di Baviera sono state vinte da squadre che mai avevano assaporato il gusto del successo nella Coppa (Nottingham Forest nel 1979, Marsiglia nel 1993, Borussia Dortmund nel 1997). Finali giocate nel defunto (calcisticamente) Olympiastadion.
3. Nel 1999 il Manchester United ha vinto la Coppa Campioni dopo aver battuto al Camp Nou proprio il Bayern. All'epoca i diavoli rossi vinsero la Coppa d'Inghilterra proprio come il Chelsea in questa stagione. Allo stesso tempo i bavaresi persero la finale della Coppa di Germania.
4. Nella stagione 2009-2010 l'Atletico Madrid ha vinto l'Europa League, Manchester United, Arsenal e Tottenham hanno chiuso rispettivamente al secondo, terzo e quarto posto esattamente come nell'attuale annata. Il Chelsea ha vinto la F.A. Cup mentre il Bayern perdeva la Coppa Campioni contro l'Internazionale.
5. Nel 1968, quando il Manchester City vinse il suo ultimo titolo di campione d'Inghilterra un'inglese (i rivali cittadini dello United) si aggiudicarono la Coppa dalle grandi orecchie.
6. L'ultima squadra che ha eliminato il Barcellona in semifinale ha poi vinto la finale (Inter 2010).
7. L'ultima inglese che ha estromesso i catalani ha alzato la coppa (United 2008).
8. Con Proenca a fischiare nessuna tedesca ha mai vinto e per contro le inglesi non sono mai uscite sconfitte dal campo.
Basteranno queste otto pugnalate affinché quelli del Bayern si rendano conto che alla morte certa, decretata da bizzarri corpi celesti, non ci si può ribellare?
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martedì 8 novembre 2011
QUADRO D'AUTUNNO
Breve giro d'orizzonte sui quattro maggiori tornei europei a neanche un terzo di stagione.
In Inghilterra, principale riferimento calcistico mondiale a livello di campionati, la prepotenza tecnica del Manchester City sembra finalmente aver trovato riscontro in una continuità di risultati che potrebbe scortare in carrozza la "seconda" squadra di Manchester, come abitualmente e non senza cinica dose di snobismo viene etichettata da molti, verso un titolo ampiamente atteso a seguito della messa in atto di una dirompente strategia a tappeto, che a suon di campioni collezionati negli anni rende obbligatorio un unico e solo risultato finale.
Una quantità tale di risorse dispiegate, da rendere quasi impossibile un piazzamento diverso che non sia il primo, e questo nonostante si abbia a che fare con il torneo più selettivo del pianeta.
Solo un ipotetico lungo cammino nella competizione europea potrebbe ributtare nella mischia le potenziali rivali, ma al momento anche questa ipotesi pare scongiurata, vista la marcia sicura della truppa facente capo ad una delle famiglie più influenti del mondo mediorientale, la quale ha deciso di giocare la carta football nel Grand Casinò d'Europa.
La classifica, ad autunno inoltrato, propone gli uscenti campioni in carica come i più accreditati rivali, ma sono usciti con le ossa fracassate ed il morale sotto i tacchi dal recente derby nel quale hanno fatto l'inusuale figura di sparring partner; pare che i diavoli di Ferguson siano più rossi d'ira, impegnati più a maledire il supposto sopruso tecnico-finanziario che pronti ad un reale contrasto all'avanzata dei Giannizzeri dello sceicco.
I cinque punti dell'attuale distacco sembrano nulla in confronto al divario che la calata nel calcio inglese (e non) di questi potentati dell'oro nero sta generando. E si passa sopra persino ad un Tevez acclamato come Messia dal giorno del suo arrivo e ora trattato come un Santa Cruz qualunque: si ripone in soffitta e a gennaio si provvederà ad acquistare il Padre Eterno, e finché il petrolio zampilla e non ci sarà disimpegno della proprietà, questo sarà lo scenario realisticamente preventivabile da qui in avanti.
Ferito di spada, l'oligarca russo Abramovich non vorrebbe perire in questa lotta a chi alza di più la posta, e per questo motivo "libera dal giogo" il nuovo portoghese che avanza, Villas Boas, l'ennesimo, con un assegno faraonico accreditato sul conto del compiaciuto presidente del Porto.
Lo stratega lusitano viene però anche aiutato a lavorare meglio adeguando l'organico, rimpinguato a dovere, ma da quanto emerso dopo questo scorcio di stagione, cambiando il fattore guida tecnica, il prodotto sempre lo stesso rimane ed il quarto tentativo post-Mourinho nel bramoso tentativo di entrare a far parte stabilmente del "Forbes" calcistico mondiale, e conquistare i galloni di compagine a tutto tondo, sembra destinato a rimanere senza frutti concreti almeno ancora per questa stagione, a meno di imprevedibili sterzate.
L'Arsenal nuovo look, segnato da un profondo cambiamento di metodo (è un termine che ne nasconde un altro: obiettivo) dovuto al salasso tecnico causato dalle partenze al termine della scorsa stagione, ha necessità di capire che ruolo vorrà recitare; le mire probabilmente riviste verso il basso, nonostante la fine di agosto abbia portato segnali importanti dal mercato in entrata; il Tottenham affamato dalla reale caccia al quarto posto (terzo?) che consentirebbe, ad un anno di pausa, di rientrare tra i grandi del continente, attualmente risparmia le forze in Europa League per non vanificare il lavoro domestico ed il Liverpool, arrogante nelle ultime due sessioni di mercato , ma poco coeso ed ancora alla ricerca di un'identità precisa nel panorama inglese delle ultime annate, appaiono come tre compagini più interessate ad azzannare quello spicchio di classifica che dovrebbe permettere loro, con la qualificazione alla coppa campioni, di elevare le proprie ambizioni, ma a partire dalla prossima stagione.
A queste sei corazzate, si addiziona un intruso di qualità come il Newcaste, mossosi benissimo negli ultimi due anni grazie ad un legame diretto con il mercato francese. I Magpies stanno entrando prepotentemente nell'alta società e l'impressione che se ne ricava e che sarà oltremodo arduo scalzarli dalle posizioni di vertice conquistate con merito (sia per le scelte di mercato oculate sia per le prestazioni sul rettangolo verde).
Il resto del plotone si dispone in buon ordine, ma qualche jolly potrebbe essere nascosto nelle maniche di qualche squadra, magari impegnata sul fronte europeo, terreno dove potrebbe fare parecchia strada (vedi Fulham e Stoke).
La lotta per la permanenza vede quasi soffocare il Wigan, malato da anni e ripreso per i capelli più volte, quindi strappato ad una morte sicura che quest'anno sembra tuttavia aver ritagliato le funeree vesti su misura dei Latics.
Nel calderone, dunque, un po' tutte quelle dall'ottavo posto in giù, eccezion fatta per Villa, Fulham ed Everton che alla lunga faranno pesare gli organici, e lo Stoke, che grazie al suo inconfondibile stile rugbystico riuscirà ad evitare le pericolose sabbie mobili, ne siamo certi.
La Spagna sta vivendo la stagione della rinascita. Sarebbe un'affermazione da querela se non si leggesse oltre l'apparente sconfortante messe di reti e prestazioni sfornate dal duo storico. La classifica, col passare delle giornate, si allungherà inevitabilmente a favore di Madrid e Barcellona creando quel vuoto che oramai è voragine, però oltre ai crudi numeri c'è ancora Liga.
E' davvero probabile che le due faranno, sorteggi permettendo, la finale di Champions League, in quanto oltre alla Spagna stanno catechizzando l'Europa a colpi di gioco, gol e talento, legittimando una superiorità che la logica dovrebbe fare sfociare in una finale più che annunciata, a maggio, a Monaco di Baviera.
Non si può slegare quest'aspetto nell'analisi sulla Liga. Quei cinque gol che vengono recapitati al malcapitato di turno che piazza le tende al Camp Nou o al Bernabeu sono il pegno politicamente corretto che una squadra normale o mediamente forte può pagare se Real o Barcellona decidono che così è se gli pare. Credo che a questa legge poche entità europee possano sfuggire, e solo la Premier riuscirebbe ad arginarne parzialmente lo strapotere; non si capisce, dunque, perché lo debbano fare squadre di seconda fascia del panorama spagnolo.
Per il resto, l'orizzonte è spazzato via dalle nubi delle ultime stagioni, nelle quali preoccupanti involuzioni nel gioco avevano coinvolto le cosiddette squadre terrene, quelle dal terzo posto in giù. I massicci successi in serie delle rappresentative nazionali "sub" (anche solo effimeri, come lo splendido e scalognato mondiale under 20 disputato da una regale selezione giovanile) dalla primavera a tarda estate, hanno inondato di nuovo entusiasmo e talento fresco la Liga.
Nonostante congiunture di mercato non favorevoli, alcune società hanno saputo rimodellarsi con risultati più che dignitosi, cedendo alle irrinunciabili tentazioni di vendere e reinvestire con pacatezza (Valencia), altre ancora vendere e rituffarsi in un mercato in cui l'asticella per strappare i pezzi migliori si eleva di sessione in sessione, senza avere nell'immediato riscontri confortanti (Atletico), altre subire il peso, più psicologico che tecnico, di mantenersi a quote storicamente non appartenenti al proprio patrimonio, accusando flessioni fisiologiche (Villarreal). Vi sono poi quelle che cercano glorie estemporanee memori di un recente trascorso a banchettare a colpi di ostriche e champagne (Siviglia), altre (Malaga) cavalcano il momento di ricerca di visibilità degli arabi in un campionato first class come la Liga, baciate dalla fortuna di essere elette e facendosi assorbire in un'orbita celestiale che dovrebbe, a breve lasso di tempo, consolidare gli andalusi nei piani alti della Liga prima e del continente poi. C'è poi la solida armata basca rappresentata dall'Athetic Club, la compagine che ad inizio torneo suscitava i maggiori interessi in virtù di un maquillage estetico avente come colonna portante l'estro del Maestro Bielsa, e la sferzata di vento nuovo regalata dal Betis tutto mobilità e fraseggio, i cui frizzanti prodromi si erano già intuiti nella splendida cavalcata della scorsa stagione.
Al tirar delle somme, una Liga il cui livello di gioco è più che accettabile, il cui spettacolo convincente, con il pacco regalo inatteso al cui interno vi è una rana impazzita (magari un poco datata) che sta facendo saltare il banco in questa prima parte di stagione (Levante).
La Bundesliga è territorio di caccia del Bayern. Se un anno sfugge alla regola, il seguente ricalca il copione che vede i biancorossi favoriti d'obbligo, contando su un organico sopra la media ed uno strapotere economico, finanziario, di marketing e di appeal senza eguali in Germania.
Se Heynckes destava più di un turbamento al momento della reincoronazione, ci hanno pensato i giocatori a non permettere che si insinuasse troppo il germe della diffidenza e già dalla seconda giornata hanno iniziato a macinare avversari in patria e fuori.
E c'è l'asso da giocare, che è ancora ben nascosto ed appena sarà terminato il lavoro col nastro adesivo, ecco che nel clou della stagione potrebbe essere calato per rifinire l'opera e compiere un miracolo al quale molti in Germania (e non) credono, quello di portare a casa (è proprio il caso di dire) la coppa dalle grandi orecchie, così come la chiamano gli esperti.
L'asso in questione è ovviamente Robben, e il termine miracolo, una volta rientrato l'olandese di cristallo, appare tremendamente ingeneroso per una compagine che allo stato attuale, in Europa, può temere la concorrenza dei due titani spagnoli e basta.
Il resto della Bundes è sempre calorosamente emozionante e scalda davvero il cuore; degli stadi arcicolmi non ne parliamo più, della passione dei tedeschi per il calcio ci sarebbe da fare approfondimenti mediante qualche trattato di sociologia, dell'avvenenza del torneo non si sono mai avuti dubbi.
Magari non sempre costellato di stelle, il campionato tedesco ha però calamitato nel corso degli anni tanti cosiddetti buoni giocatori e non è un caso che le rose delle squadre siano infarcite di "nazionali" di ogni dove.
Il lavoro encomiabile a livello giovanile ha fruttato un discreto gruzzolo di giovani virgulti, spesso ancora in fasce, ma molti di loro sono di prima qualità e soprattutto disseminati in tutti i ruoli: bravi, vincenti e col futuro in faccia.
Il sorpasso sul terzo torneo del ranking Uefa, inevitabile, certifica il valore della Bundesliga e la propone in un contesto di ritrovata competitività proiettandola su futuri scenari estremamente allettanti.
Certo, di squadroni, Bayern a parte, attualmente non ce ne sono, ma le tante realtà di medio-alto livello, supportate spesso da grandi città quindi dall'elevato potenziale di tifosi, non possono che attrarre nell'immediato futuro investitori munifici e costanti nell'impegno preso, e possibilmente qualche oligarca o sceicco che possa farsi carico di qualche spesuccia accessoria.
Avere ottenuto un posto in più per la prossima campagna europea nella coppa di maggior rilevanza avvalora maggiormente questo trend e potrebbe essere il volano ideale per una nuovo Rinascimento del calcio-panzer.
Tornando alla stretta attualità, dopo un inizio stentato, si registra il ritorno di fiamma di Borussia Dortmund e Schalke, le due più credibili candidate ad occupare i due restanti gradini del podio (col Leverkusen?), nonché le piacevoli sorprese rappresentate dal Werder dalle mille ed inattese rinascite, al Monchengladbach, che dal baratro della zweite sta ora toccando le corde dei sentimentalisti che rivedono, chiudendo gli occhi e usando un'ottimistica dose di immaginazione, la formazione dell'età dell'oro.
Pollice verso per l'Amburgo che a forza di giocare col fuoco finirà per arrostire, pronto ad essere inghiottito dalla palude rappresentata dalla seconda divisione.
La Ligue 1, terreno di caccia prediletto da club dell' Europa intera che invadono l'esagono per fare razzia di perle rare ma anche solamente di buoni giocatori, sta paurosamente aumentando la propria fornitura di talenti verso l'estero senza riuscire a colmare il gap tecnico con la fioritura di nuove stelline. Il ritmo è insostenibile e di questo passo il sorpasso di altri campionati diverrà ineluttabile .
Una strana sensazione pervade da troppo tempo chi segue il calcio francese, quella di trovarsi di fronte una sorta di Brasile o Argentina modello europeo, esportatore di mano d'opera qualificata a costi sostenibili (per gli altri). L'unico esportatore tra i grandi paesi calcistici del vecchio continente, il movimento calcistico transalpino fa la fortuna di campionati come la Premier, per citare la punta dell'Iceberg di questa situazione (dall'ottica francese naturalmente).
Un' emorragia che nasce dal profondo della cultura calcistica d'oltralpe, da un' incontrollabile autolesionistica scarsa considerazione del proprio movimento, che nell'ottica del giocatore locale deve rappresentare il trampolino di lancio verso il successo e non, viceversa, punto d'arrivo, e per un'apatia generale dei grandi magnati d'oltralpe che non vedono nel calcio motivi validi per esporsi .
A questa tendenza ultradecennale la scialuppa di salvataggio viene ora lanciata da un manipolo di emiri qatarioti, che prova ad invertire la rotta grazie all'ingresso nella società calcistica francese della loro Qatar Investment Authority. Gli stessi quindi, allungano i dorati tentacoli guardando anche all'esagono dopo aver messo le mani sul Manchester City ed il Malaga, dando uno slancio, o meglio, uno scossone, a tutto il movimento.
Imprevisto, vista l'operazione lampo portata a termine dagli affaristi arabi senza che ci fossero avvisaglie nelle settimane precedenti la chiusura del negozio.
I qatarioti, che, ricordiamo, ospiteranno i mondiali 2022, diventano allora i tutor internazionali cui aggrapparsi e accaparrandosi la formazione di una capitale da oltre 10 milioni di anime, nonché i diritti televisivi del torneo mediante il network Al Jazira Sport, (nato solo nel 2003 ma attualmente una potenza non solo nel mondo mediorientale e controllato dagli stessi emiri proprietari dei parigini) contano di ridare lustro al calcio dell'esagono che sogna di rivivere l'epopea dei primi anni ottanta, auspicando però un finale differente.
Va da se che l'establishment del Golfo Persico abbia immediatamente aperto i cordoni della borsa investendo circa 90 milioni di euro, posizionando il PSG al secondo posto nella speciale classifica delle spese estive, appena dietro al...Manchester City.
Tutto ciò ha generato, in un torneo senza straordinarie corazzate, come invece sono la Premier o la Liga, risultati immediati, issando il PSG solitario in vetta alla classifica ed a distanza di sicurezza dalla seconda.
Gioco facilitato, dovendo spazzare via l'innocente opposizione di un Lilla menomato dalle cessioni ed impaurito dal neo status acquisito, la resistenza di un Lione più preoccupato di rinascere dalle ceneri lasciate da Puel, e di un Marsiglia attanagliato dagli abituali caos gestionali e posseduto dal tipico stato di fibrillazione, stato in cui si convive da sempre sulla Canebière.
Non saranno certo il Montpellier di quest'inizio di stagione, ovvero una rinascita delle tre citate pocanzi a spaventare una società che per gennaio ha pronti altri colpi in canna.
Il resto della lista (Rennes e Tolosa escluse) prevede una litania di squadre che si avvicendano (e così faranno sino al termine) tra la zona europea e quella che condurrà a far scomoda compagnia a Nantes, Metz e Lens. In bocca al lupo a tutti.
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Varie
lunedì 20 dicembre 2010
QUALCHE PASSO INDIETRO...
Per chi, come me, non ha vissuto l'adolescenza immerso nel boom del telefonino o peggio, dello smartphone e dei social network, per chi, come me, non ha vissuto l'assalto al calcio da parte delle pay-tv che hanno fagocitato qualsiasi intimità calcistica rendendo l' "homo footballorum" succube di 5.000 partite in diretta alla settimana con le telecamere che entrano persino nei cessi degli spogliatoi per stabilire se le misure morfologiche di Eto'o sono rispondenti alla millenaria fama degli africani, assistere anno dopo anno al consumarsi di tale brutale violenza contro la Coppa che dovrebbe rappresentare l'apogeo del football continentale non fa che inaridire, anno dopo anno, le mie risorse vitali.
La coppa scoppia! Sorteggio dopo sorteggio è sempre peggio. Stritolati dal business, dalla bulimia finanziaria dei contratti pubblicitari, dalla massa magmatico-emotiva del grande teatro mondiale che da Honk Kong alle Hawaii sfodera sciarpe del Manchester United e gagliardetti del Real Madrid come si indossano T-shirt col volto di Lady Gaga e si balla la Haka, la cara, vecchia, sacra Coppa dei Campioni ha oramai smarrito completamente ed irrimediabilmente le proprie origini modificando alla radice il proprio DNA.
Ad ogni consesso estrattivo par già di sapere tutto, come quegli studenti che rispondono alle domande di getto, a memoria, senza riflessione od analisi perché sanno in partenza dove il professore andrà a pescare. Come giocare a nascondino sulla Piazza Rossa, la fantasia ed il fascino si fanno da parte perché arriva il bulldozer della programmazione, programmato dai circoli esclusivi, che in quanto elitari vivono in un mondo tutto loro, ovattato di edonismo surreale e fondati in spregio a basilari pulsioni sportive.
Lione-Real Madrid assume sempre più i contorni di un polpettone sulla scena europea, ultraproiettato con maniacale meccanicità in un turpe gioco al massacro delle emozioni di una coppa che fu mia quando il vento favoriva le novità e l'uguaglianza e l'esclusività del sorteggio era lo spartiacque per vivere il personale momento di gloria. Liberté, égalité, fraternité: quella coppa forgiata da francesi si mesceva nel motto fondendosi in un modello antesignano dello spirito europeista.
Ora si arriva agli ottavi blindati, la Uefa indossa il preservativo dell'arroganza affinché si giunga compatti, coperti ed allineati a destinazione, poi a briglie sciolte, chi è più bravo, capace o fortunato nella caccia al tesoro lo troverà come nelle organizzazioni tutto punto dei club vacanze nei resort dei posti più esotici per i ricchi più ricchi che ricchi non si può.
Lione-Real Madrid non si sa più come classificarla. E' campionato francese, spagnolo, o meglio un'ibrida coppa interpirenaica. Quattro volte, dico quattro volte in sei, dico sei, anni: 2006,2007,2010,2011! Il mio cuore non si connette più alla manifestazione, ci vuole fegato per tutto ciò, perciò passo la mano ai temerari delle statistiche di quest' orripilante messinscena di calcio moderno, a quelli che non sanno cosa sia un Honved-Steaua ovvero Servette-Aberdeen agli ottavi della Coppa dei Campioni. In questi anni siamo campioni di cosa? Campioni di incassi, di share, di visibilità, di merchandising, di truffe, di bilanci guasti, di squadre pericolosamente globalizzate, di telecamere 3D ai raggi ultraperfetti che ti permettono di vedere le gare anche da sotto il campo di calcio, da Marte da dentro le mutande di Cristiano Ronaldo. Meglio ancora se il campo di calcio diventa il prima possibile sintetico, privo di ogni gibbosità che possa insinuarsi nella mente di chi gioca, di chi guarda, di chi investe, di chi acquista, di chi si uniforma, di chi "gadgetteggia" e che possa ostacolare il sinistro e famelico progetto oligarchico . Sintetico come il carrozzone che si trascina dietro questo cinepanettone chiamato Champions League, nel quale tutti i tifosi ritroveranno il loro bel Barcellona Arsenal per rifarsi o riperdere, perché il succoso Inter-Bayern per Carnevale non poteva mancare.
Come diceva il "Biondo" ne "Il buono, il brutto ed il cattivo": "...qualche passo indietro..."
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lunedì 18 ottobre 2010
SOTTO IL SEGNO DEL CANE
Come nelle ultime cinque occasioni, i "cani" biancorossi si aggiudicano il "marele derby" lasciando la "stella" ancora senza luce.
Un odio da morire, o da ferire, magari riducendo in fin di vita, ma almeno bisogna giocarsela. Due volte l'anno si deve dimostrare che il derby eterno, il gran derby, alcune delle definizioni attribuite nel tempo e dal tempo, si gioca e si vince fuori e il campo di battaglia esterno è l'unico unanimemente riconosciuto dalle due tifoserie. Eh sì, perché col Rapid non c'è lo stesso fuoco che arde le passioni: sempre tensioni e botte, pressioni e lotte ma vuoi mettere i "Cani" con le Pecore"?
I cani, il simbolo della Dinamo, ex Ministero dell'Interno, contro le pecore di Becali, che da quando ha assunto la padronanza del club ha marchiato definitivamente la Steaua con tale soprannome (Becali prima di lanciarsi negli affari, nella finanza e nella politica, dopo gli avvenimenti del 1989, era un pastore a capo di un folto gregge di pecore...). E benché cani e pecore in simbiosi si muovono nel gregge, pare che questa alleanza animale ai tifosi non vada giù e solo trasformandosi anch'essi in animali, nell'accezione più feroce del termine, in una sorta di licantropia pallonara, possono giocarsi il loro derby a colpi di bottigliate, sedie, calci, pugni e tutto l'armamentario previsto per le grandi occasioni.
Per tradizione la partita più importante della Romania, ma i tempi passano, gli anni corrono e scavalcano le gerarchie comuniste consolidate nel tempo dai ministeri della capitale a capo dei due club. La nouvelle vague dell'Ardeal (Transilvania), oltre ad aver portato aria fresca nel calcio romeno grazie soprattutto al vincente CFR Cluj, (ma anche al Fc Timisoara, che dispone oramai della tifoseria più calda e presente all'interno degli stadi di tutto il paese), ha visto incrementare, oltre alla competitività, il numero di seguaci e le rivalità cittadine o zonali. Così la violenza fa capolinea a Cluj, nel derby recentemente incendiatosi in seguito alla scalata ai vertici del calcio nazionale del CFR a spese della storica Universitatea Cluj, per tutti la "U", nome vintage del panorama carpatico. Le risse appaiaono costantemente nel duello tra Timisoara ed Arad quando la tifoseria "viola" dei timisoreni combatte contro i biancorossi dell'UTA Arad (quando questi sono in Divizia A) in un duello che divide due città a 50 chilometri di distanza ma ravvicinate dall'astio e dal disprezzo reciproco.
In questo contesto antagonistico spinto all'estremo, la temperatura del classico Steaua-Dinamo viene tenuta alta dalla stampa sportiva e dalle innumerevoli emissioni sportive che dalla tv rilanciano dichiarazioni di intenti belligeranti tra le parti, che il tempo non sopisce ma rinvigorisce nonostante il livello tecnico sia inversamente proporzionale alla scenografia previamente allestita ad arte, quasi a dissimulare le carenze sostanziali dello show.
Tutto codesto preambolo per testimoniare che anche domenica si è vissuta una giornata di ordinaria follia con le vie presidiate da battaglioni di gendarmi, il bus della Steaua presso a pietrate durante il tragitto che conduceva allo stadio e, fatto ancor più cruento, un ragazzo percosso a più non posso dentro un fast-food dove negligentemente si era introdotto e, una volta all'interno, scambiato per uno "spion stelist" che si sarebbe intrufolato in quel covo di dinamovisti per carpire gli ultimi segreti della preparazione coreografico-pirotecnica del match da parte degli ultras biancorossi trafugando idee. Lasciato in una pozza di sangue e trasportato con urgenza all'ospedale, da accertamenti successivi si è venuto a sapere che era il bodyguard della moglie del padrone del tabloid scandalistico "Cancan"...
La partita è quindi strumentale, e l'aspetto tecnico è abilmente nascosto da tv e giornali specializzati, che pompano l'evento settimane prima ben sapendo che poi la montagna partorirà un topolino e gli stessi tifosi che si scatenano nelle coreografie più originali perdono, mano a mano che la gara avanza, decibel nel tifo abbandonando languidamente la gara a se stessa.
La gara per l' appunto!
Le squadre adottano un modulo speculare (4-2-3-1) benchè nelle schermaglie tecnico-tattiche si legga di tutto e di più, a testimonianza che spesso il gioco sui numeri è piuttosto fine a se stesso e fine ad un'aristocrazia giornalistico-calciofilo-tecnico-paranoica che non mi seduce più: dalle lavagne dei professori alle disquisizioni fisico-nucleari su formule innovative che addolciscono la frustrazione di ognuno di noi che è convinto di manovrare Messi con il gessetto e far dribblare Modric grazie al movimento concentrico ottenuto dalla proiezione ortogonale di Huddlestone e Palacios. Tutti si riempiono la bocca nel gioco del nuovo millennio, quello dell'allenatore...nel pallone...!
Nel pallone infatti ci finisco io, visto che nel corso della gara i moduli cambiati sono almeno una quindicina per parte e del 4-2-3-1 c'è traccia solo su un foglietto zuppo d'acqua galleggiante nel Mare di Barents in attesa che qualche balena se lo inghiotta per espellerlo modificato e corretto in un 5-5-5 di astrazione postmoderna.
La Dinamo schiera il redivivo Dolha tra i pali, il carneade spagnolo Rubio (uno che non conoscono nemmeno nella penisola iberica) sulla destra, l'argentino Garat e l'ex senese Moti al centro, l'ex Steaua Bordeanu, (recente acquisizione dall'Unirea Urziceni che con la maglia della Steaua ha disputato ben tre derby), a presidiare la corsia sinistra. In mezzo, il presupposto duetto di mediani si comporrebbe di Margaritescu e del senegalese N'Doye, i tre dietro la punta sono, da destra a sinistra, Torje, Adrian Cristea ed Alexe. La punta è il vecchio lungagnone ex Inverness Marius Niculae, un combattente reduce dal Vietnam vissuto in casa propria visto la dura educazione impartitagli dal padre-padrone.
La Steaua risponde con Tatarusanu in porta, il brasiliano Eder Bonfim a destra, il pupillo del presidente Becali cioè Gardos e il portobrasiliano Geraldo Alves nella cerniera centrale, il guizzante Latovlevici a sinistra che non è altro che il giocatore più utilizzato in questo scorcio iniziale di stagione. I due in mezzo sono il brasiliano Ricardo Gomes ed Apostol (entrambi reduci dall'esperienza comune all'Urziceni) sopravanzati dal terzetto Nicolita, Bogdan Stancu (il capocannoniere di questa stagione) e Tanase, propedeutici all'azione offensiva dell'unico grimaldello offensivo, vale a dire Bilasco che è preferito al greco Kapetanos, ancora punito per lo scempio contro il Napoli in Coppa Uefa.
N'Doye non sta mai in linea con Margaritescu, è sempre più avanti di cinque metri, quindi il 4-2-3-1 è già un 4-1-4-1 dal primo minuto con buona pace del Sudoku. E' anche il più gasato, come sempre, facendosi pizzicare in pochi minuti dall'arbitro e rischiando più volte il doppio giallo per la sua foga inconfondibile che lo rende l'idolo della "peluza dinamovista" come delle discoteche e dei night club dell'intera Bucarest, dove sfoggia il meglio della Savana che si porta dentro, ad iniziare dal look.
Dal ritorno di Marius Niculae alla casa madre la Dinamo non ha mai perso, mentre l'ultima vittoria delle "pecore" risale al lontano agosto 2004 con un gol di Andrei Cristea (ora alla Dinamo) in chiaro fuorigioco e nel finale di gara.
Latovlevici è un pendolino, ma dalla sua parte le correnti d'aria rendono il mare molto mosso in virtù del fatto che Torje batte bandiera liberiana e scappa come un'anguilla, rapidissimo, non si lascia certo pregare nel tagliare fette la fascia sinistra difensiva della Steaua. Il gioco è comunque rossoblu e dopo un cambio posto per posto per infortunio (Garat fuori, Scarlatache dentro per la Dinamo) ed un possibile penalty per la Dinamo (altra ingenuità difensiva di Latovlevici) la Steaua passa con Bogdan Stancu che inforca il suo ottavo gol intervenendo su un radente potente e preciso dalla destra del ficcante Bonfim e trasformandolo in un tape.in. Pochi minuti e la difesa di Lacatus balla ancora concedendo un penalty per un ingenuo fallo di mani di Apostol susseguente ad un angolo. Batte "Printul" Cristea (il principe, eroe dei tabloid scandalistici laddove ogni volta battezza una ragazza diversa) ed è ristabilità la parità. 1-1 risultato tipico di questo derby, fortunoso per la Dinamo per quanto dimostrato. Nemmeno due minuti dopo un'altra voragine sulla sinistra da parte di Latovlevici, Torje gli parte alle spalle aggirando anche il fuorigioco ed ecco che Tatarusanu interviene rovinosamente sul minuscolo attaccante esterno biancorosso causando un rigore solare. Questa volta della battuta si incarica Niculae, ma cambiando i fattori il prodotto non cambia: Tatarusanu da una parte, palla dall'altra. Il tempo si chiude con un paio di incursioni rossoblu ma si va all'intervallo con la sensazione che le ali della Dinamo possano sfasciare l'impianto difensivo della formazione guidata dalla "fiara" (bestia) Lacatus con troppa facilità. Alexe da una parte e Torje dall'altra sono velocissimi ed imprendibili anche perché sulle uscite in campo aperto dei due terzini rossoblu Latovlevici e Bonfim, a seguito di ripartenze biancorosse le sincronie nelle diagonali dei due centrali sono imperfette e la protezione dei mediani nello scalare scarsa. Eppure in panchina ci sono un centrale esperto quale Galamaz e un terzino sinistro capace di fare le due fasi come l'argentino Brandan, ex Unirea Urziceni: entrambi avrebbero potuto rispondere meglio alle esigenze della squadra in questa gara.
Scontri fuori, giornali eccitati ma il tifo, abbandonate le coreografie di inizio gara, resta modesto a livello di appoggio canoro nonostante il punteggio sorrida ai padroni di casa. Si va così al secondo tempo con la funerea sensazione che Bucarest stia diventando sempre più oramai la periferia del calcio romeno ed il cimitero del calcio.
Girandola di cambi dopo il primo quarto d'ora (Brandan per Latovlevici in casa Steaua e l'ivoriano Djakaridja Koné per N'Doye per la Dinamo. Cambi posto per posto). La gara perde ancor più di fascino mentre la Dinamo scompare dal gioco, subendo un monologo della Steaua. Biancorossi spesso assediati nel classico fortino eretto dalla squadre romene negli ultimi scampoli di gara, sia che si tratti d'Europa (qualche giustificazione è evidente) che del campionato interno, dove l'abuso di sceneggiate e pantomime per recuperare ossigeno e far scorrere il cronometro è un metodo costante e tollerato anche dalla classe arbitrale per favorire lo spettacolo già distribuito in dosi massicce sul terreno di gioco.
Il risultato non cambia, il derby neppure, del "marele (il grande) derby rimane lo scolorito ricordo delle fotografie in bianco e nero dei tempi andati...! Alla prossima edizione...
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lunedì 11 ottobre 2010
I DOLORI DEL GIOVANE...WERDER!
La Bundesliga, come gli anseatici, ad un bivio.
Il Werder Brema è l'emblema della Bundesliga, spettacolarità ed austerità, voglia di stupire e limiti di velocità da rispettare. Il club anseatico alla cui guida Schaaf ha raggiunto le dodici stagioni è la chiave che apre tutte le porte del massimo campionato tedesco, facendo comprendere i meccanismi che lo regolano meglio di qualsiasi altro.
Da anni la compagine di Brema oscilla come un pendolo alla ricerca della propria dimensione. Sei partecipazioni alla Champions League nelle ultime sette stagioni, una finale ed una semifinale di Coppa Uefa; in campo tanto spettacolo offerto ai propri tifosi e spesso anche agli avversari di turno, quasi imbarazzati dal poter affondare il coltello nel burro della difesa anseatica con irrisoria facilità.
Il limite del Werder è quello della Bundesliga: divertimento dentro e fuori dal campo ma una squadra tedesca non vince una Coppa Europea dal maggio 2001 e bisogna risalire alla fortunosa vittoria ai rigori del Bayern contro il Valencia in quel di Milano. In Coppa Uefa bisogna retrocedere di un millennio e rammentare lo Schalke campione nel 96-97.
In Germania si segna a grappoli, come in nessuno degli altri quattro grandi campionati d'Europa. La media attuale è di 3.16 gol per match contro i 2.67 dell'Inghilterra, i 2.48 della Spagna, i 2.35 dell'Italia e gli appena 2.29 della Francia, il torneo più tirchio ma anche più tattico d'Europa. Da anni è così, sempre in vetta alle medie realizzative europee, ma questi continui nubifragi di reti non fanno altro che far marcire alla radice la qualità del prodotto tedesco una volta esportato nel mercato europeo di alto livello. Il Werder Brema incarna questa filosofia più di ogni altra, dove alla concretezza, inopportunamente abbinata al calcio quando si parla di Germania ricalcando il pletorico ed anacronistico luogo comune dell'effettività teutonica, viene prediletto il gusto del bello, un po' naif, fine a se stesso, un modo platonico di rappresentazione calcistica.
Gli stadi non sono pieni, sono zeppi, il merchandising e tutto l'aspetto commerciale correlato ad esso vanno a gonfie vele, di pari passo con la vendita dei biglietti. La Bundesliga è al vertice tra i campionati di calcio di tutto il mondo per presenze negli stadi avendo oltrepassato la soglia di 42.500 persone di media per partita contro le 35.000 della Premier inglese, al secondo posto nelle statistiche.
I conti della Bundesliga hanno il semaforo verde e i bilanci delle società sorridono essendo i più sani tra i maggiori campionati dell'Europa benché il peso delle tv sia piuttosto marginale nel ricavi delle 18 squadre nonostante il gettito di soldi derivante dal mercato asiatico ed in particolare dal medio oriente, zona geografica nella quale la Bundesliga suscita notevoli interessi ed è molto popolare. Eppure gli stessi conti non tornano: al tirar delle somme in Bundesliga ci sono 9-10 grandi squadre ma nessuna al top europeo, top che rimane ancora un miraggio. Nessuno che scavalchi la soglia del piacere massimo, quasi una frustrazione al raggiungimento dello zenit.
La Bundesliga ottimizza il rapporto ricavi/stipendi con i secondi decisamente contenuti, ma proprio questo aspetto si va ad intersecare pericolosamente con la capacità di vittorie dei club tedeschi, dando una lettura seppur parziale alla scarsa competitività ad altissimo livello dei club. Se non ci sono tanti zeri negli assegni staccati è probabile che le stelle a "cinque stelle" alberghino da un'altra parte. Non è una regola ma ci si regola anche così.
La Bundesliga attrae sponsor nazionali ed esteri ma non è la calamita che rappresenta la Premier League inglese e nemmeno il fascino del calcio bailado della Liga dei campioni del mondo e dei mostri sacri Barcellona e Real Madrid.
E' ancora in fase di studio, si trova in mezzo al guado, tra l'apice dello splendore inglese, al quale non avrebbe nulla da invidiare per passione e spettacolo, e la pericolosa recessione della Serie A, che ha già facilmente scavalcato a livello di competitività e ranking Uefa, ma non compiutamente nella mente degli sportivi di tutto il mondo e di diversi disattenti addetti ai lavori. C'è bisogno del definitivo salto di qualità che riporti ai fasti di metà- fine anni settanta nei quali si registravano persino en plein di squadre dell'allora Germania Ovest nelle semifinali della Coppa Uefa (stagione 1979-80).
C'è stato il momento della Bundesliga, poi si passò alla Serie A con il tentativo di inserimento della Ligue 1 a metà anni ottanta, fallito come lo sfarzoso progetto del Matra Racing, Serie A poi lentamente decaduta e soppiantata dall'incessante avanzata della Liga spagnola che, dalla metà del nuovo millennio ha lasciato le redini del calcio europeo nelle mani degli inventori inglesi.
La Bundesliga, in luna crescente è lo specchio fedele di una restaurazione che fatica ad imporsi. Ci sarebbero denti e pane ma evidentemente la macchina tedesca stenta a mettersi a pieno regime e anzi accusa qualche colpo a vuoto nelle leggi internazionali non scritte del calcio mercato. Recuperiamo proprio il Werder, citato e lasciato poi da parte. Non si intuisce il gran mondiale che disputerà la nazionale e allo stesso tempo il gioiellino di casa Ozil, non gli si rinnova il contratto per tempo, e quando le sirene spagnole iniziano a farsi sentire, Allofs, il general manager, deve cedere senza tentennamenti il calciatore e senza avere voce in capitolo sul prezzo, anzi deve ritenersi soddisfatto per aver incassato una quindicina di milioni di euro. Lo stesso accadeva qualche giorno prima allo Stoccarda con Sami Khedira mentre la Bundesliga, come un qualsiasi campionato geriatrico del Medio oriente dove svernano i "cannavari", acquisiva Raul!
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venerdì 11 giugno 2010
DIECI PIU' DUE= UNO
A poche ore dal calcio d'inizio dei mondiali passiamo in rassegna le dieci potenziali candidate al titolo più due outsider di lusso. Dodici, ma solo una alzerà la coppa.
SPAGNA: favorita numero uno, anzi unica favorita se proprio vogliamo dirla tutta. Alzi la mano chi trova una squadra che giochi meglio, più amalgamata e con un 23 di così alto livello. Scaramanzie a parte, è l'ora di sfatare tabù ed inganni che la storia del pallone ha riservato a questa gloriosa nazionale. Rigori, arbitri, gomitate con sangue, pali e traverse ora basta, fatevi da parte e lasciate spazio all'incedere sontuoso dell' "Invencible Armada", squadra che può permettersi 3 portieri extra lusso e di lasciarne a casa altrettanti, squadra che a centrocampo vendemmia gioia di vivere con una dozzina di funamboli (tra convocati e convocabili) e che davanti morde come un crotalo. Del Bosque ha selezionato come meglio non poteva e se Senna poteva lasciarsi preferire a Javi Martinez per il resto chi è rimasto a casa non può imprecare contro ostracismi vari. Vero è che gente come Palop, Diego Lopez, Arteta, Cazorla, Guiza, Iraola, Pablo Hernandez, Joaquin entrerebbe di diritto nelle rose di molte delle altre candidate, però la completezza e organicità delle scelte del "baffone" non ammettono repliche di sorta. Girone da vincere, poi incrocio insidiosissimo negli ottavi: dopo quella gara si capiranno mille cose.
OLANDA: seconda favorita d'obbligo. Noblesse oblige. Robben, Van persie, Sneijder, Van der Vaart, Elia, Kuijt, Afellay..., bastano?? Un concentrato di talento che gli Harlem Globe Trotters impallidirebbero. Nelle amichevoli ha macellato avversari, nel girone di qualificazione 8 vittorie su 8. Cruccio in porta con l'abbandono di Van der Sar, qualche discrasia strutturale nella terza linea ma le due dighe di centrocampo deputate a ringhiare, De Jong e Van Bommel sono di denominazione d'origine controllata. Rimasti a casa il vecchio leone Van Nistelrooy, il talento di Bakkal e Beerens, l'apatia di Emanuelson, la freschezza del trio Feyenoord Fer, Biseswar, Wijnaldum, la geometria di Mendes da Silva, la forma stagionale di Loovens e Brama, l'irruenza di Drenthe. Oddio, dimenticavo: che non si arrivi ai rigori e che non ci si guardi troppo allo specchio e se non succederà arrivederci alla finale dell' undici luglio per sfatare una maledizione.
BRASILE: nonostante le cervellotiche convocazioni del "Cucciolo" il Brasile entra come terza favorita. Kleberson, Felipe Melo, Julio Baptista a centrocampo sono un insulto per i 200 rimasti a casa. Doni in porta vive di gratitudini ma Fabio, Bruno, Victor, Felipe, Diego Alves, Julio Sergio che ci stanno a parare a fare? Gilberto a sinistra è l'ultimo mostro partorito dall' italo-tedesco Dunga. Juan, Andrè Santos, Marcelo, Leo, Filipe Luis sono a revisione per la sostituzione del fegato. Il Brasile rischia di essere la favorita che esce subito subito, prima ancora che ci si inizi a divertire. Motivi? Due. Uno dettato dal girone, secondo perché tutta la batteria di giocatori dal centrocampo in su in questa stagione ha profondamente e compiutamente deluso in tutte le sperdute lande nelle quali ha giocato. Nomi? Eccoli: Kakà, Robinho, Luis Fabiano, Nilmar, Felipe Melo, Josuè, Elano, Julio Baptista. Salvi solo in parte Grafite (io stravedo per lui, perdonatemi), Gilberto Silva (doppietta, coppa, campionato in Grecia) e Ramires (non certo il più brillante di un Benfica scintillante). Si saranno risparmiati per il mondiale? Intanto Neymar, Paulo Henrique Ganso, André, Leo, Dentinho, Dagoberto, Hernanes, Richarlyson, Miranda, Diego Souza, Cleiton Xavier, Sandro, Andrezinho, Juan, Leo Moura, Douglas Costa, Jadson, Fernandinho, Ilsinho, Gerson Magrao, Leandro Almeida, Maicosuel, Renato Augusto, Carlos Eduardo, Naldo, Alex Costa, Alex Meschini, Alex de Souza, Andrè Santos, Cristian, Filipe Luis, Marcelo, Alexandre Pato, Ronaldinho, Hulk altri ancora più i portieri citati se ne staranno a sorseggiare un boccale ghiacciato di Brahma (portata dal Brasile) sulle spiagge delle isolette dell'oceano indiano che tanti calciatori attirano. In bocca al lupo per chi ha puntato soldoni sul Brasile vincitore!
INGHILTERRA: sfidare il mondo senza un portiere. Ecco quello che si prefigge l'Inghilterra di Sir Fabio per accarezzare il sogno di bissare la coppa casalinga del 1966. James sarebbe anche un buon portiere se non sbagliasse. Tra Hart e Green ci vuole cuore (Heart per la verità) per non rimanere al verde anche stavolta. Rio, il fiume più ricco al mondo, è rimasto a casa per un infortunio che sta accompagnando sentitamente il suo finale di carriera, Beckham aveva già lasciato la barca da tempo come Bridge, ma per motivi opposti. Ci aggrappiamo a Roooonaldo e alla sua spalla, ad un centrocampo di qualità e all'acqua santa. A casa Ashley Young ed Agbonlahor per via della stagione sottotono con il Villa (ma è un grave errore), at home il giovane portento Adam Johnson e l'ala che fu Walcott, a casa Huddlestone (incomprensibile) e qualche altro. Girone abbordabile, a differenza di quello delle qualificazioni trionfalmente vinto, poi insidie già dagli ottavi.
ARGENTINA: il suicidio di uno stato. Maradona è in grado di paralizzare una nazione dalle grandi prospettive più di quanto il vulcano islandese paralizzò l'Europa poco tempo fa. Scelte di naso con colpi di scena più che nei film di Stanley Kubrick. Nonostante la statura il Pibe ci ha abituato a colpi di testa letali per tutti. L'Argentina è l'unica nazionale nella quale i 23 che sono rimasti a casa sono più forti dei 23 condotti al macello in Sudafrica. Lucho Gonzales, Lisandro Lopez, Riquelme, Cambiasso, Banega, Gaitan, Zanetti, Aimar, Saviola, D'Alessandro, Ansaldi, Perotti, Gonzalo Rodriguez, Lavezzi, Zarate, Bergessio. E se molti di questi sarebbero stati doppioni dei magnifici cinque (Messi, Aguero, Tevez, Higuain, Milito), trovare un posto in più (Lisandro Lopez magari) lasciando a casa Martin "El Loco" Palermo sarebbe stato un atto di riconoscenza dovuto alla seleccion e di non riconoscenza a chi pur avendo praticamente fatto staccare il pass all'albiceleste, ha quasi trentasette primavere sul groppone. Bolatti, Veron e Garcè dentro lasciano poi letteralmente ghiacciati, senza speranze, senza illusioni di veder rinsavire un intero staff in preda a deliri schizofrenici. Se l'Argentina porterà a casa il mondiale non mi si venga più ad insinuare che i tecnici nel calcio contino più dello 0.5 %. Fatti tutti questi debiti preamboli, la nazionale argentina ha comunque carente in tutti e tre i guardameta e in una difesa statica e priva (nei potenziali titolari) di terzini di ruolo.
GERMANIA: i tedeschi si posizionano al sesto posto nella griglia perché la lucentezza di tutte le amichevoli premondiali disputate non può essere sono un abbaglio pre estivo. Gioco, velocità nell'eseguirlo, forze fresche e un far fronte agli infortuni in maniera efficace mi fa rivalutare questa banda di ragazzini che ha rifornito la Germania a livello giovanile negli ultimi due anni come non mai (Europei under 17, 19, e 21). Out per infortuni Ballack, Westermann, Adler, Trasch, Rolfes, out per scelte tecniche gentner, Riether, Hummels, Schaefer, Beck, Kuranyi. Loew si affida a sei ancora in età da under 21, a tre 1987, a un 1986, a tre 1985 ed a quattro 1984: un asilo nido insomma...
Portieri forti, nonostante l'assenza di Adler (e quella ben più dolorosa di Enke), difesa da registrare al centro e a rischio folate di vento e velocità, centrocampo flessibile e tanto, tanto movimento davanti dove Ozil e Marin (i due Werder) pare cogliano prendersi tutta per loro la scena mondiale.
FRANCIA: Domenech o no, prima di dare la Francia per spacciata ci penserei non una e nemmeno due, ma almeno tre volte. Non più Zidane, Henry che manda in campo il cugino della Guadalupa, Ribery alle prese con le donnacce, Benzema lasciato a riflettere su ragazzine (vedi Ribery) e Madrid, Ben Arfa dimenticato colpevolmente (come Nasri), Lassana Diarra ammalatosi e Moussa Sissoko al quale non è stata data la chance. Difesa che ha dimenticato nell'Esagono Fanni, Rami, Escudé e Cissokho ma in quanto a talento la Francia è pur sempre la Francia. Detto che in porta non ci sono fenomeni e Lloris è tutto fuorché un grande portiere (Mandanda ha fisico da vendere e tecnica da comprare), per il resto il tecnico più antipatico del secolo e che si farà da parte dopo i mondiali, potrà contare su una squadra che parte a fari spenti, e rotti, aggiungerei io. La mano galeotta di Henry che ha qualificato (ma non che senza la mano l'Irlanda sarebbe arrivata ai mondiali, visto che c'erano comunque i rigori: a meno che i profeti pro Irlanda non sapessero già lo sviluppo dei medesimi...) i transalpini costerà a livello di immagine, ma appena Malouda, Gourcuff e Ribery delizieranno la platea tutto sarà presto finito nel capitolo oblio.
PORTOGALLO: come non mettere i lusitani del Ronaldo vero tra i favoriti, in fondo ma tra quelli. Peccato che il mosaico di Queiroz abbia perso, cammin facendo, gente del valore assoluto come Bosingwa e Nani e che lo stesso non abbia portato con se fior di centrocampisti come Joao Moutinho e Manelele (Manuel Fernandes) ma il recupero fisico in extremis del violento campione Pepe è garanzia in una difesa che può già contare con gente al top nel ruolo come Bruno Alves, Ricardo Carvalho (Fernando Meira uscito dal giro). Un centrocampo un po' troppo lineare e muscolare (Raul Meireles, Pedro Mendes, Miguel Veloso, Tiago) e un attacco che ha trovato il fromboliere nel brasiliano Liedson accompagnato da trequartisti ed ali di tutto rispetto (Danny, Simao, Deco). Uscire dal girone sarà comunque un'impresa, poi c'è la...SPAGNA, forse!
ITALIA: si è ritornati ai primi anni ottanta quando il Partito Comunista era al suo massimo storico e Berlinguer era l'icona degli operai. Una squadra di metalmeccanici nella quale è proibito dalla costituzione (anche quella materna) distillare classe e una nazione-nazionale che per trovare un dribblatore è dovuta andare a scovare uno sconosciuto argentino nel campionato messicano e naturalizzarlo in fretta e furia. 60 milioni di abitanti e talenti filtrati col contagocce manco si fosse nel periodo della "grande depressione" del 1929. Tre con qualità lasciati a fare la muffa a casa (Balotelli, Cassano e l'infortunato Miccoli), due che vivono dell'ostracismo, del provincialismo e dell'ottusità del C.T. che non chiama gente che gioca all'estero (Rossi e Diamanti), quindi a sorreggere le speranze azzurre è rimasta solo la cabala e il girone (il più comodo): 1-1 con la Svizzera nelle amichevoli premondiali del 1982 e del 2006. Un paese di scaramantici e scommettitori ha già trovato l'ancora cui aggrapparsi (oltre a Buffon).
COSTA D'AVORIO: per talento superiore ad altre ma Africa è Africa cari amisci (come direbbe Altafini). In più c'è Eriksson e se due indizi fanno una prova allora mi sa che anche per questa volta dovremmo accontentarci di vedere sfilare gli Elefanti per tornare nella riserva in un batter d'occhio. Drogba giocherà pure col braccio rotto e questo è il terzo indizio che dovrebbe mettere la pietra tombale sulle speranze (altrimenti legittime) ivoriane di issarsi tra le prime 4 del mondo. Tolto il portiere non manca nulla, forse qualche ricambio, ma 15-16 giocatori sono top class nei rispettivi ruoli. L'attacco può essere micidiale (Kalou, A.K Keita, Gervinho, Drogba) per tutti...
SERBIA: prima delle due outsider di lusso. Difesa da sogno, forse la migliore della rassegna nei quattro titolari (Ivanovic-Subotic-Vidic-Kolarov), portiere tra i più scadenti del mondiale, centrocampo più robusto che qualitativo (ma Jovanovic non si scambia con nessuno per classe) e con ricambi adeguati, attacco ridotto all'osso e senza troppo talento. serviranno i cross di Krasic per i 202 centimetri di Zigic o le incursioni di Stankovic e/o Kacar, Kuzmanovic, Ninkovic, il giovane Petrovic sempre che Milijas non faccia solo un ruolo di copertura.
CAMERUN: Le Guen ha in mano un gioiellino, forgiato quasi esclusivamente da lui ma non so se si renda conto che questa squadra ha potenziali per andare molto avanti (visto anche girone e accoppiamenti futuribili) a patto che con una mossa coraggiosa metta da parte alcuni senatori oramai inabili per questi livelli. Ottime tante scelte, come quelle di naturalizzare Matip e Choupo Moting (tedeschi-cemerunensi), Bassong e Bong (quest'ultimo nato in Camerun) che vanno a rinverdire una rosa composta già da elementi di spicco in ogni settore: Kameni, N'Koulou, Assou-Ekotto, Chedjou, M'Bia, Emana, Makoun, Enoh, Alexandre Song. In attacco non solo Eto'o, ma anche Webo positivo a Maiorca, Idrissou fisico e tecnico allo stesso tempo. Insomma, se Le Guen eviterà di fidarsi dei vecchietti Rigobert Song e Geremi Njitap e dara spazio alla linea verde ne vedremo delle belle e chi si parerà di fronte ai Leoni rischia di non avere un bel ricordo.
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Mondiali 2010
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